La Via della Maratona

Ulisse e le sirene

Il mio amico Geo, commentando l’articolo di presentazione di questo progetto, scrive “La maratona tra 26 settimane è una sirena, mio caro Ulisse, che ti distoglie dai traguardi che ti stanno più a cuore.”
Geo è un uomo saggio che pesa le parole e sa miscelare in una battuta la giusta dose di ironia e serietà.
Quindi ogni volta che dice qualcosa presto orecchio con grande attenzione.

In effetti noi corridori tendiamo a vivere in un mondo corsacentrico.
Si parla solo di risultati cronometrici, infortuni, scarpe e gare.
Questo è più evidente se si frequenta un mondo di runners della prima ora.
Poi con l’aumentare dell’esperienza (e, ahimé, dell’età) per motivi squisitamente fisiologici si tende ad essere meno attenti alla performance sportiva e concentrarsi di più sulla parte ludico-gastronomica.
Ma rimane il fatto che, oltre alla corsa, c’è tutta una vita lì fuori che ci aspetta (non a caso il mio blog si chiama “la corsa attorno” e non “Corsa, corsa e solo corsa”) e qualche volta corriamo(!) il rischio di dimenticarlo.

I nostri obbiettivi sono molteplici, fare un bambino, l’auto nuova, visitare la Nuova Zelanda, scrivere un romanzo, vedere i tuoi figli sistemati, la Felicità, fare un lavoro che ti piace o semplicemente trovare lavoro, perdere peso, far sorridere tua madre, battere a scacchi il tuo vicino di casa… e via dicendo.
Alcuni sono piccoli sfizi da levarsi, altri hanno a che fare con la nostra serenità più profonda.

Correre una maratona lo classificherei tra gli sfizi, ma richiede un impegno molto maggiore.
Da qui la notazione di Geo: Sicuro che il gioco valga la candela?

Ma dentro a questo #26W26M ci sono due temi che per me sono fondamentali.

Il valore del viaggio non è nella meta.
Esiste una fase di progettazione in cui immagini dove vuoi andare e come.
Una fase di spostamento vera e propria (che è parte integrante del viaggio e anzi sovente è la più avventurosa).
C’è infine la meta e (non scordiamolo) il ritorno.

Il traguardo di Central Park è il simbolo di un triplice viaggio.
Le 26 settimane di preparazione sono la prima parte.
Il viaggio fisico a New York, la seconda.
I 42.195 metri della maratona, la terza.

Non si tratta, quindi, di correre una gara, ma di vivere un’esperienza lunga sei mesi.
E credo che sì, il gioco valga la candela.

Allenarsi per una maratona significa rimettere ordine nel caos

Ma il secondo tema, quello ancora più importante, è un altro.
Per come la vedo io, la preparazione alla maratona è un esercizio spirituale prima che fisico.
Allenarsi significa autoimporsi una disciplina, impostare ritmi e microobbiettivi al servizio di un traguardo così lontano da sembrare irraggiungibile se non inesistente.
Significa rimettere in equilibrio corpo e mente (che devono lavorare al reciproco servizio) e riappropriarsi della propria fisicità.

Allenarsi per una maratona significa rimettere ordine nel caos interno.
E’ una disciplina morale che passa attraverso una disciplina fisica.

Ci vediamo ad Itaca, Geo, buon vento!

#26W26M: una ragione in più per correre

Ci sono dei periodi in cui sei un po’ confuso e ti sembra di girare a vuoto.

Qualche rogna di troppo al lavoro.
Le cose che non girano come vorresti in famiglia o nelle relazioni.
Idee che stentano a diventare progetti…

Mi è capitato in passato e mi ricapiterà in futuro.
Nessuna tragedia.
Solo un senso generale di essere fuori equilibrio.

A fine marzo attraversavo uno di questi periodi, complicato dal fatto che non correvo più.
Ora i non corridori faticheranno a capire questo mio punto di vista.
Ma quando corro regolarmente tutto si chiarisce, il mio corpo funziona meglio, il cervello è più lucido, il cuore più limpido.
Però correre, quando sei in quei periodi, è difficile. Richiede uno sforzo di volontà maggiore.
E’ come se l’inerzia ti tenesse sprofondato nel letto al mattino e in poltrona la sera…

Avevo bisogno di uno stimolo e quando me se n’è presentata l’occasione ho colto la palla al balzo.

blog01

26 settimane per 26 miglia
A partire dall’8 maggio per 6 mesi mi allenerò per la più celebrata maratona del mondo, New York.
26 settimane per prepararmi a correre le 26 miglia che separano il Varrazano Bridge da Central Park.

Ho corso molte maratone in vita mia (NYCMarathon sarà la 35esima) quindi so cosa mi aspetta.

Io credo che la maratona meriti rispetto.
E’ una gara diversa da tutte le altre.
Devi prepararla con cura, progettarla come ritmo e strategia.
Devi sfuggire alle sirene che nei primi chilometri ti invitano a tenere ritmi più veloci.
Devi cacciare i demoni che dal 30esimo iniziano a correre al tuo fianco.

Non ho l’età per rincorrere un PB, il mio Personal Best, ma ho deciso di impegnarmi a correre seriamente la gara, al massimo delle mie possibilità e, soprattutto, senza accampare scuse e senza arrivare impreparato all’appuntamento.

26 settimane per 26 miglia è nato per me stesso, per rimettermi in equilibrio, ma fin da subito ho voluto che avesse anche un senso più alto.
Correre serve a farmi star bene e può servire a far star bene qualcun altro.
Quindi dedico (come faccio dal 2010) la mia attività podistica a supporto di EMERGENCY, l’associazione fondata da Gino Strada e, più in particolare, le loro attività in Iraq.

Questa è la prima delle 26 settimane.
Troverete sul mio blog i resoconti degli allenamenti e, come faccio sempre, un po’ di annedoti legati a quello che mi succede.
Troverete anche un report dei miglioramenti (spero) della mia forma fisica e in parallelo di come procede il progetto.

Stay tuned, il meglio deve ancora venire…

PS ovviamente se volete aiutarmi a sostenere Emergency potete contribuire anche solo con pochi euro attraverso la piattaforma di Rete del Dono

Breaking to

Scrivo a caldo, dopo aver seguito in diretta un immenso Eliud Kipchoge correre 42.195 metri in 2 ore e 25 secondi.

Chi non corre non riesce a comprendere appieno la dimensione dell’impresa.
La maratona sotto le due ore è una cosa inconcepibile, quasi come il teletrasporto in Star Trek: teoricamente si può ma…

Nike ha messo su una sfida al muro delle due ore.
Ha assoldato i migliori professionisti, atleti, fisiologi, allenatori, ingegneri, e questa mattina alle 5:45 nell’autodromo di Monza la sfida ha avuto luogo.
Il muro non è stato abbattuto, ma (citando l’amico Felipe) un’immensa crepa è stata aperta.

Breaking2_Trailer

Ho snobbato questo tentativo di record.
Troppo artificiale, troppo marketing oriented.
Ma stamattina ho seguito LIVE l’evento e per gli ultimi interminabili 50 minuti ho spiato il sorriso di Eliud, il cambio perfetto delle lepri che si alternavano, l’incredibile macchina organizzativa che ha limato ogni dettaglio per rendere possibile il raggiungimento dell’obbiettivo.

L’ho snobbato, ma mi sono dovuto inchinare davanti all’evidenza della fatica.
Tenere un ritmo indiavolato (2’50″/km) per due ore è ai limiti della fisiologia umana.
Ma Eliud, come il calabrone che ignora le leggi della fisica che dicono che non può volare, l’ha fatto.

Ma Eliud, come il calabrone che ignora le leggi della fisica che dicono che non può volare, l’ha fatto.

Ha avuto fiducia nel suo team ed è partito in mondovisione a 2’50″/km, affidandosi ad un sogno.
Durante la prova era evidente come stesse cercando la pace dentro se stesso.
Era rilassato, spalle basse, passo rotondo, un sorriso che spuntava ogni tanto sul suo viso.
Un capolavoro della meccanica in movimento, ma anche la serenità di un monaco buddista.
Spirito e corpo.
Alla fine non si poteva non tifare per lui, per quel corpo nero fasciato da capi ipertecnici rossi, slanciato su scarpe avvenieristiche.
Per quel meraviglioso campione del genere umano.

2 ore e 25 secondi.
Quando è arrivato non ero ne’ contento ne’ deluso.
Quel record non mi apparteneva.
Ma sono stato felice di poter assistere ad una performance meravigliosa.

Il motivo per cui il muro non è stato abbattuto, secondo me, è semplice.
Non era una gara, non c’era competizione tra concorrenti.
Nell’ultimo chilometro gli altri atleti lo spronavano, ma Eliud non voleva batterli.
E’ mancata quella cattiveria agonistica che ti fa salire sulle spalle del tuo avversario e da lì spiccare il volo.

Il muro non è stato abbattuto, ma questo nulla toglie all’impresa e allo spettacolo.
Sono grato a Nike di aver messo in piedi (per ovvi e comprensibili fini pubblicitari) questo grandioso baraccone.

Non ho sbagliato il titolo di questo mio post.
Non è stato “Breaking Two” ma “Breaking to”
Una strada è stata aperta.
E adesso attendiamo curiosi cosa accadrà nel futuro prossimo.

Fase ZERO: per ricominciare

Il progetto* prende forma nella mia mente, ormai mancano pochi giorni al debutto, ed inizio a fare un mini bilancio delle settimane passate tra il 2 aprile (giorno in cui per la prima volta ci ho pensato) e questo 8 maggio inizio ufficiale del viaggio.

L’obbiettivo è tornare ad allenarsi per correre una maratona.
Cosa si deve fare prima di iniziare?
Alcuni amici spiritosi mi avevano suggerito di riposare il più possibile, ma io sapevo che la realtà è molto diversa: dovevo prepararmi all’allenamento.
Ho iniziato a lavorare sulle due cose più urgenti: guadagnare fiato e perdere peso.
Ho iniziato a regolarmi un po’ sul cibo, pizza e birra una volta alla settimana, il dolce dopo cena solo quando sono fuori con gli amici, niente extra pasti.
Non ho rinunciato al cappuccio e brioche del mattino che, insieme alla lettura del quotidiano, incarnano il mio rituale di inizio giornata.
E ho applicato una regoletta che a me serve tantissimo. Ho incollato un foglio sullo specchio del bagno e ogni mattina segno il peso… non c’è stimolo migliore che quel controllo diuturno per scoraggiarmi dall’ordinare la seconda porzione… so che il giorno dopo o quello successivo sarei inchiodato alle mie responsabilità.

E poi ho ricominciato a correre.
Senza metodo ne’ forzature.
Uscivo quando potevo, per quanto tempo potevo, senza preoccuparmi di velocità o di distanze.
Sono partito da dietro casa, esplorando una zona che non conoscevo e da lì ho ampliato i miei giri verso i percorsi che mi sono familiari.
Ho approfittato di amici compiacenti che accettavano di riscaldarsi un po’ più a lungo ai miei ritmi.
Unica regola, non far passare tre giorni senza essere uscito almeno una volta, anche solo per 30 minuti.

E come per magia il mio corpo ha iniziato a risvegliarsi.
Il peso ha smesso di salire, si è normalizzato e finalmente ha iniziato a scendere (lento ed inesorabile come le mie uscite di corsa).
La corsa è tornata ad essere, da obbligo che mi imponevo, un’abitudine che accetto e che so mi premierà con una scarica di endorfine sotto la doccia [l’endorfina è un neurotrasmettitore prodotto dal cervello dopo uno sforzo fisico che provoca un senso di benessere ed appagamento, NdA].
Tutto sembra filare via più liscio…

Adesso sono pronto per iniziare davvero.

* lo so che non ne ho ancora parlato, ma abbiate pazienza fino all’8 maggio e tutto sarà più chiaro

Quasi quasi… si ricomincia

Quante volte abbiamo smesso e poi ricomnciato? E ogni volta ci sono motivi diversi ma lo stesso senso di innadeguatezza.

Mentre raggiungo i pacers delle 4 ore e 45 intorno al trentacinquesimo chilometro della MilanoMarathon lo scorso 2 aprile, mi stupisco di come loro siano freschi e pieni di vita mentre io sto letteralmente boccheggiando.

Un particolare da non trascurare: loro erano partiti da Corso Venezia alle 9:30 di quel mattino, io – quarto frazionista della mia staffetta per Emergency – ero partito 5 chilometri e 30 minuti prima.

Eppure…

Flash back. Ho 53 anni, sono stato (pesantemente) contagiato dal virus della corsa quando ne avevo 39 tanto che mi ero prefissato ed ero riuscito a correre la mia prima maratona entro i 40 (a Milano, anche quella volta). Ho corso tanto e su tutti i terreni, ho provato dalla pista all’ultratrail, ma negli ultimi 18 mesi non ho più gareggiato e nelle ultime 5 settimane non ho proprio corso. Neppure quella canonica uscitina alla domenica che ti lava la coscienza.

Allora eccomi qui, in una calda domenica di festa, con 10 chili di troppo e il fiato corto.

Intorno a me la gente fa festa, i corridori e – strano a dirsi per Milano – anche il pubblico. Quella mattina, mentre percorrevo al contrario il percorso, avevo incitato e salutato e supportato decine di runners, volti noti e perfetti sconosciuti, e avevo riprovato quell’emozione che chi ha gareggiato ben conosce.

Eppure…

Bastioni di Porta Venezia, striscione del 42esimo chilometro, Barbara Q e Barbara C, due quarti della mia staffetta, saltano dentro al percorso per fare con me gli ultimi 195 metri.

La folla applaude i maratoneti e io ben conosco le loro sensazioni, quel misto di fatica estrema e appagamento per essere arrivati alla fine. Un po’ li compatisco e un po’ li invidio.

Noi staffettisti viviamo di gloria riflessa, i veri protagonisti sono loro, ma gli applausi scendono a pioggia su tutti. La staffetta 399 taglia il traguardo bucando il muro delle 4 ore, ma sono felice come un bambino e penso che forse dovrei considerare di rimettermi a correre con serietà…

Allo stand di Emergency ci ritroviamo con gli altri staffettisti che hanno corso per l’associazione di Gino Strada, siamo quasi 500, riceviamo e restituiamo sorrisi e complimenti, bottigliette d’acqua e pacche sulle spalle.

Sarà il poco ossigeno, sarà quella strana magia della maratona per cui quando ci sei dentro pensi “chi me l’ha fatto fare?” e quando l’hai finita pensi “quando la prossima?”, fatto sta che un’idea inizia a farsi spazio nella mia testa.

Ho un pettorale per correre come fund raiser di Emergency alla New York City Marathon di novembre.
La mia società organizza una trasferta nella Grande Mela.
Ho davanti più di sei mesi… quasi quasi si ricomincia.