Va bene, è Halloween, ma arrivare a casa e trovare questo spettrale benvenuto è stato davvero strano.
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Milano ed io
Mi sono avvicinato a Milano con il sospetto di molti pregiudizi, ma grazie ad un amico che me ne ha fatto conoscere il cuore nascosto, mi sono innamorato di lei.
E’ accaduto una notte. Forse più mattina che notte. Stavamo bevendo una birra in un locale dopo un’interminabile giornata di lavoro in una redazione ed eravamo rimasti solo noi e un tipo mezzo addormentato. O ubriaco.
Indossava un paio di pantaloni scuri, una camicia bianchissima e un paio di bretelle appariscenti. La testa abbandonata sulle braccia conserte, seduto ad uno sgabello del bancone, i piedi appoggiati ad una custodia rigida nera.
Quando il barista lo ha scosso per ricordargli che era ora di chiudere, quello ha iniziato a suonare un trombone estratto dalla custodia. Una specie di canto della buonanotte, un pezzo in cui risuonava la sua solitudine e la sua volontà di restare in piedi. Alla fine, senza aggiungere una parola, ha riposto lo strumento, chiuso la custodia e se n’è andato.
Il barista, a mo’ di spiegazione, mentre lo salutavamo andandocene, ha detto “E’ uno dei trombonisti della Scala, viene qui un paio di volte al mese” e – quasi a spiegare la scena – “Dev’essere scozzese o irlandese”.
In quel momento ho capito che quella era la mia città.
Abituarsi alla bellezza
Di ritorno da una tre giorni piuttosto intensa a Milano, dove ero passato dall’ufficio all’hotel con qualche breve digressione al ristorante, sono arrivato a casa che era oramai sera inoltrata.
Parcheggiata l’automobile nel mio solito posto accanto al torrente sono sceso con la testa ancora immersa nel programma della giornata successiva.
La prima carezza me l’ha data il freddo. C’erano 3 gradi, poco diversi dagli 8 delle serate milanesi, ma mentre lì si trattava di un abbraccio appiccicoso di umidità, qui era il ruvido passaggio dell’aria sul viso.
Mi sono fermato, improvvisamente consapevole del momento, ed ho alzato gli occhi.
La volta del cielo era di un blu profondo, quasi nero, punteggiato di stelle brillanti. Di fronte a me, come uno scenario, si apriva uno sfondo nero di montagne i cui bordi superiori erano resi luminescenti dalla neve.
Sono rimasto a bocca aperta per la magia di quell’istante e, immemore dei pensieri che mi affollavano la testa, mi sono perso per qualche minuto ad osservare il panorama. Le luci dei paesini sulle pendici dei monti, e più sotto, nel fondo valle, la scia luminosa della città.
Finalmente mi sono riscosso e mi sono girato verso l’auto per scaricare le borse.
E allora, l’ho vista.
Bassa sull’orizzonte, la luna piena, bianca, gigante, giocava a nascondino tra i fusti alti degli alberi del bosco.
Un’immagine perfetta.
Quando la realtà supera l’immaginazione.
E’ stato un uno-due che, come un vecchio pugile sul ring, mi ha steso.
E’ possibile abituarsi alla bellezza?
Non credo. O meglio, spero proprio di no.
Spero di riuscire a meravigliarmi sempre delle cose belle.
Una notte stellata tra i monti, lo stormire del vento tra i rami, il sorriso della persona che amo.
La lettera
Ma che ne sapevo io?
Come avrei potuto immaginare che le cose si sarebbero complicate così?
La prima volta che ti ho visto mi eri sembrato uno interessante.
Non so, forse perché non parlavi molto ma sembravi avere tanto da dire.
Forse perché sono attratta dalle persone che hanno una storia dietro.
Quella sera sono rimasta al tuo fianco, ed invece di ascoltare quello che gli altri dicevano, sorbivo ogni tuo più piccolo commento.
Come se avessi potuto ricostruire il tuo pensiero attraverso le cose che non dicevi.
D’altronde io sono così, invece che vivere la vita mi sforzo di scriverne il romanzo.
Ilaria, lasciò cadere la penna sul tavolo.
Fuori il vento scuoteva i vecchi scuri. Si strinse nel maglione colorato e prese tra le mani la tazza con la tisana. Una volta in più si rese conto di come la sua vita a volte somigliasse ad una pubblicità.
E il pensiero, invece di farle rabbia, in qualche modo le comunicò una profonda tristezza.
I primi mesi mi era sembrato un sogno.
Non era una storia normale, era fatta di carezze furtive, di baci radi come il cielo azzurro a Milano.
Non mi illudevo. Ero certa che si trattasse di una storia sbagliata.
Tu dicevi che non c’erano donne nella tua vita, e io credevo che avessi aspettato me. Invece adesso so che tutto il tuo spazio vitale è riempito solo da te…
La prima volta che abbiamo fatto l’amore ti ho sentito così vicino.
Ma in fondo ogni uomo ha i suoi punti deboli.
Ad onor del vero ho dovuto insistere perché ci fosse una seconda volta.
Maledetta la mia mania di voler far succedere le cose!
Diede un’occhiata all’orologio sopra il tavolino dello studio, erano passate le due di notte. Avrebbe dovuto andare a dormire se il giorno seguente voleva trovarsi con gli altri per correre all’alba.
Se i suoi amici avessero saputo!
Qualcuno magari le sarebbe stato vicino, qualcun’altro avrebbe subito criticato. O magari l’avrebbe solo presa in giro con aria di sufficienza…
Ma si potevano davvero definire amici? O erano solo persone che il caso aveva messo insieme? Una somma di solitudini?
Mi fai una rabbia a volte…
Vederti elargire a piene mani agli altri quei momenti che io vorrei fossero solo nostri.
Leggere su FaceBook i tuoi stati e costruirci intorno un mondo ipotetico che in qualche modo mi comprenda.
Invece no.
Tu lì nella tua aura di poeta irraggiungibile, io qui sveglia di notte a tormentarmi.
E più cerco di creare occasioni per vederci più tu sembri sfuggirmi.
I messaggi che ci scambiavamo erano tutti interessanti.
Le infinite chiacchierate al telefono non mi bastavano mai.
Dov’è finito adesso tutto questo?
Rilesse le ultime righe e provò un moto di stizza.
Avrebbe dovuto tagliare. Troncare di netto quella “non-storia”.
Che senso aveva prolungare quella relazione se non le dava gioia?
Mi chiedo che senso abbia continuare tutto questo se per me è fonte di tensione e sofferenza e non di felicità?
Con un rapido tratto di matita cancellò quell’ultima parola e la sostituì con “serenità”.
Ma era giusto non aspirare alla felicità assoluta?
Va bene, adesso vado a letto.
Rispetto i patti e non rileggo quello che ho scritto.
Alla luce del mattino tutto sembrerebbe più incerto, più pericoloso.
Protetta dalla notte mi sono aperta e ho scritto cose che non avrei il coraggio di dirti in faccia…
Io sono qui, tu dove sei?
– Ilaria
Meglio farlo subito, togliersi il pensiero.
Piegò il foglio di carta, cercò una busta e la sigillò dopo aver frettolosamente fatto scivolare dentro lo sfogo di quella notte.
L’avrebbe imbucata questa notte stessa, mentre accompagnava il vecchio Fritz nell’ultima passeggiata della giornata.
Mise il francobollo, prese la penna e vergò l’indirizzo con la calligrafia tonda e decisa di cui era così fiera:
Gentile Signora
Ilaria Schiavon
via Belfiore, 13
20145 – Milano (MI)
Il portinaio le sorrideva con aria complice da quando aveva cominciato a ricevere quelle lettere con una certa regolarità.
Chissà se aveva intuito qualcosa? Chissà se era solo curioso?
Prese la borsa, il guinzaglio di Fritz e uscì sulle scale.
Doveva decidersi ad andare a dormire prima…
[NdA] Questo pezzo fa parte del progetto Frammenti urbani