Niente è impossibile

Niente è impossibile

Non avevo molti dubbi, l’ho comperato praticamente a scatola chiusa, senza sapere quello che avrei trovato, ma ne sono rimasto assolutamente soddisfatto.

Sarà che mi piace il genere delle autobiografie, quando puoi comprendere i meccanismi mentali che hanno portato una persona a comportarsi in un certo modo. Ma sentir raccontare da un Kilian estremamente schietto i retroscena degli ultimi due/tre anni della sua incredibile carriera, vale assolutamente l’acquisto del libro.

In teoria, di Kilian Jornet Bourgada sappiamo tutto.

E’ una star del web. E’ l’influencer per eccellenza nel mondo del running e del trail running (probabilmente anche nello scialpinismo). La Salomon, suo sponsor storico, ha pescato un jolly quando ha iniziato a raccontare di questo ragazzino catalano che vinceva le gare con una semplicità disarmante.

Nel suo primo libro, Correre o morire, avevo già apprezzato la schiettezza della scrittura del giovane Kilian. Nel secondo, La frontiera invisibile, aveva affrontato i suoi demoni in una chiave introspettiva che andava di pari passo con il suo spostare l’attenzione dalle gare alle imprese in montagna.

In Niente è impossibile fa un ulteriore passo: raccontando la sua vita si apre e ci lascia intravvedere cosa lo spinge a fare quello che fa. Ci fa capire cosa lo stimoli e da dove attinga la sua (apparentemente) inesauribile energia.

Kilian Jornet è un personaggio.
Nel libro lui riesce finalmente a far uscire l’uomo.

Alcuni dei capitoli sono delle chicche: gli anni dell’università e i suoi esperimenti sul corpo umano (il suo); il suo rapporto con Ueli Steck e la loro salita sulla nord dell’Eiger; l’esperienza del terremoto.

E poi, la parte finale del libro, che è anche quello che più di tutto aspettavo, il racconto della doppia salita all’Everest.
Era stato criticato moltissimo la scorsa estate. C’era persino chi aveva affermato che non l’avesse compiuta.

Kilian racconta la sua versione dei fatti. Senza pretendere riconoscimenti. Senza falsi trionfalismi. Con la trasparenza e la semplicità che lo caratterizzano.

Mi è sempre piaciuto. E, se possible, dopo aver letto (in poche ore) questo libro, mi piace ancora di più.

Niente è impossibile
Kilian Jornet Bourgada
Edizioni Solferino
250 pagg, 17 euro

Cosa si impara dalle corse in montagna?

Se c’è una cosa che ho imparato dall’andare in montagna è stata quella di non sottovalutare mai una situazione, ma contemporaneamente non farmi mai pregiudizialmente condizionare da essa.
Con questo intendo dire che a volte le difficoltà che affrontiamo sono rese estremamente più difficili dalla paura che abbiamo di esse.

Prima di affrontare una salita io non mi chiedo mai cosa succede se non riesco ad arrivare in cima, non mi preoccupo di quanto tempo ci metterò a salirla. Penso solo che devo salire un passo dopo l’altro.

correre in salita

Molto meglio di me l’ha detto il 14° Dalai Lama, Tenzin Gyatso, che ha scritto su noi occidentali:
Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.

Sia ben chiaro che io sono al 100% un uomo occidentale, incapace di non pensare al futuro. Rovino molte esperienze attendendo che succeda qualcosa dopo.
Ma dalle salite, dalla montagna, ho imparato a godermi il sentiero e non pensare all’arrivo.

Similmente per le difficoltà, è inutile pensare a quanto difficile sarà una cosa. Il problema si manifesterà e lo affronterò. Ma solo in quel momento, non la sera prima di partire o durante tutto il tempo dopo la difficoltà (avete presente? “Se non avessi sbagliato quella deviazione, chissà che piazzamento avrei ottenuto!”)

E tutto questo è stato un grande insegnamento.

Omicidio in Galles

Morte dietro la cresta

Ed eccomi arrivato al primo dei libri tradotti in Italiano da Mulatero Editore, scritti da Carr e che hanno come protagonista Abercrombie Lewker.
Potete leggere le altre due recensioni ai seguenti link: Assassinio sul Cervino e Un cadavere al campo due.

Questa volta  Abercrombie Lewker, che non sa ancora di essere un detective seppur dilettante, finita la stagione teatrale si prende qualche giorno di vacanza da passare tra le sue amate montagne. E sceglie come meta il Galles e, in particolare, il monte Tryfan.

Da un passaggio ad una ragazza e si trova coinvolto nelle escursioni di un gruppo variegato di personaggi guidato da un pastore. Le vicessitudini personali si intrecciano e all’occhio attento di Lewker non sfuggono le dinamiche e le tensioni. Così quando uno dei più esperti componenti del gruppo ha un incidente durante una semplice scalata, scatta il sospetto.

Per non coinvolgere da subito la polizia e non generare scandalo, il buon Abercrombie si mette in proprio e, con l’aiuto di Hillary l’autostoppista che lo aveva introdotto nel gruppo, inizia ad investigare.

330 pagine che si leggono senza stancarsi, un ambiente, quello delle falesie gallesi, descritto benissimo e con toni a tratto magici che fanno venir voglia di visitare il paese.

Una soluzione non prevedibile che lascia anche i giallisti soddisfatti.

Glyn Carr è lo pseudonimo di Frank Showell Styles (qui il link alla pagina inglese di Wikipedia) un alpinista e scrittore inglese molto prolifico, portato in Italia da Mulatero Editore che ha inaugurato con lui la sua collana Brividi.
E’ nato nel 1908 (morirà quasi centenario) e il suo stile è influenzato sia dall’epoca che dagli studi al college. Si sentono gli influssi dei giallisti più noti dell’epoca.
Sarei curioso di leggere qualcuno dei suoi libri umoristici.

MORTE DIETRO LA CRESTA
Glyn Carr
Mulatero Editore, collana Brividi
19 euro
4 stelle su 5

Abituarsi alla bellezza

Di ritorno da una tre giorni piuttosto intensa a Milano, dove ero passato dall’ufficio all’hotel con qualche breve digressione al ristorante, sono arrivato a casa che era oramai sera inoltrata.

Parcheggiata l’automobile nel mio solito posto accanto al torrente sono sceso con la testa ancora immersa nel programma della giornata successiva.

La prima carezza me l’ha data il freddo. C’erano 3 gradi, poco diversi dagli 8 delle serate milanesi, ma mentre lì si trattava di un abbraccio appiccicoso di umidità, qui era il ruvido passaggio dell’aria sul viso.

Mi sono fermato, improvvisamente consapevole del momento, ed ho alzato gli occhi.

La volta del cielo era di un blu profondo, quasi nero, punteggiato di stelle brillanti. Di fronte a me, come uno scenario, si apriva uno sfondo nero di montagne i cui bordi superiori erano resi luminescenti dalla neve.

Sono rimasto a bocca aperta per la magia di quell’istante e, immemore dei pensieri che mi affollavano la testa, mi sono perso per qualche minuto ad osservare il panorama. Le luci dei paesini sulle pendici dei monti, e più sotto, nel fondo valle, la scia luminosa della città.

luna piena

Finalmente mi sono riscosso e mi sono girato verso l’auto per scaricare le borse.

E allora, l’ho vista.
Bassa sull’orizzonte, la luna piena, bianca, gigante, giocava a nascondino tra i fusti alti degli alberi del bosco.

Un’immagine perfetta.
Quando la realtà supera l’immaginazione.
E’ stato un uno-due che, come un vecchio pugile sul ring, mi ha steso.

E’ possibile abituarsi alla bellezza?

Non credo. O meglio, spero proprio di no.
Spero di riuscire a meravigliarmi sempre delle cose belle.
Una notte stellata tra i monti, lo stormire del vento tra i rami, il sorriso della persona che amo.

Il re del bosco

Stamattina, dopo un paio di settimane in cui non riuscivo a farlo, ho indossato i pantaloni da trekking, calzato le scarpe da trail, impugnato i bastoncini e sono uscito.

Proprio sopra casa mia parte un sentiero.
Con l’amico Pietro lo avevamo pulito poco tempo fa, poi aveva nevicato, insomma ero curioso di vedere in che situazioni si trovasse.

Volevo poi vedere a che punto erano i lavori di bonifica delle miniere di serpentino, un minerale di amianto tristemente noto per essere il componente base dell’eternit.

Quindi, spinto dall’entusiasmo, sono uscito appena il termometro è salito sopra lo zero e mi sono avviato.

Già da subito ho notato che, nonostante fossi il primo essere umano a passare di lì dopo le recenti nevicate, non ero di certo l’unico essere vivente.
Tracce di ogni dimensione e forma seguivano il sentiero.

Gli animali sono furbi, o forse siamo noi uomini che copiamo gli animali quando tracciamo i sentieri.
Sta di fatto che decine di animali erano già passati di là.

Si riconosceva l’orma tonda del capriolo, quella più grossa del cinghiale, lo zampino della volpe, quello inconfondibile dei gatti.

Salivo e leggevo il terreno.
Ero così preso a seguire le orme, che spesso ero portato fuori traccia, e lo capivo dalle pendenze innaturali cui le mie gambe lunghe e poco agili, rispetto agli animali che mi avevano preceduto, faticavano ad adattarsi.

albero
Un albero d’inverno nella piana d’Ersaz (ph Franz Rossi)

Sono arrivato sulla piana, dove il vento soffia sempre impetuoso.
Oggi ero graziato da una meravigliosa giornata di sole, ma le raffiche avevano disegnato con la neve delle morbide onde in cui affondavo fino al ginocchio.

Ancora in salita. Cercando di indovinare dove passa il sentiero.
Ero stupito di come nessuno fosse passato. In fondo ero a poche decine di minuti dal villaggio.
Finalmente raggiungo il paese che rappresentava il punto più alto, il gran premio della montagna, e quasi a celebrare l’avvenimento il campanile suonava mezzogiorno.

Ho salutato la chiesetta e mi sono lanciato in discesa.
Nelle zone d’ombra, nel bosco, la neve lasciava il passo al ghiaccio.
Così i bastoncini aiutavano a mantenere l’equilibrio e, tutto sommato, anche la velocità ne beneficiava.

Mi sono spostato verso ovest, fino a quando ho visto la mia casa, un puntino dall’alto, tutto sulla sinistra.
Era il momento di tornare.

traccia di lupo

Ho imboccato un sentiero che conosco a menadito.
Che ho percorso decine di volte, sia di giorno che di notte.
E’ stato allora che ho notato che le uniche tracce sul sentiero ero quelle di un grosso cane.
Ma nessun animale domestico si avventura in quei boschi senza il padrone.

Da almeno un anno sento storie di lupi che girovagano intorno alle nostre case, ma solo oggi ne ho avuto una prova diretta.

Ho parlato con i miei vicini, loro sono preoccupati per le pecore e gli altri animali.
Per loro l’arrivo del lupo è sinonimo di povertà. Di perdita.

Ma io non riesco a non pensare che sono loro i veri re del bosco.
Non il maestoso cervo, il cinghiale che ara il terreno, o il goffo tasso.

I lupi, che percorrono decine di chilometri ogni notte per andare a predare un animale debole.
I lupi, che vengono dall’Appennino, e sono risaliti fino alla Liguria e da lì lungo le Alpi sono arrivati da noi.
I lupi, che solitari o in branco, si muovono come un individuo.

E, pensando a questi miei nuovi vicini, sono arrivato a casa.
Felice, una volta di più, che la Natura trovi ancora un suo spazio.

Il cerchio

Quando ero bambino e vivevo a Venezia, il pediatra aveva diagnosticato a me e a mio fratello una forma di asma allergica e aveva consigliato ai miei genitori di portarci per un paio di settimane in montagna.

“Non alta montagna – aveva specificato – basta andare di poco sopra i mille metri”

I miei genitori avevano così deciso che per quell’estate non saremmo andati al mare ma saremmo saliti di quota. E da bravi veneziani, avevamo puntato le Dolomiti. Fu la mia prima volta in montagna…

50 anni dopo, a ricordarmi come la vita sia un cerchio, mi sono ritrovato ad andare esattamente negli stessi posti. Ricordi ne avevo pochi, ma i nomi mi risuonavano familiari: Pian del Cansiglio, Bus de la lum, Tambre.
Sono posti di una bellezza assoluta, specialmente in questa stagione. I faggi che svettano altissimi e che lasciando filtrare i raggi del sole giocano con i colori. Le montagne dai fianchi dolci, sembrano minute in confronto ai giganti sui quali mi affaccio in Valle d’Aosta. E la gente, di tutte le età, che riempiva quei sentieri mi dava un’euforia strana, a me che sono abituato ai sentieri solitari dei miei percorsi.

faggeta del Cansiglio
I faggi della foresta del Cansiglio, storicamente proprietà della Serenissima, oggi gestiti dalla Regione Veneto (ph. Franz Rossi)

Il motivo ufficiale era fare una rimpatriata tra gli amici di Franco Perlotto che, durante l’estate, erano stati al rifugio Boccalatte Piolti a dare una mano. Il luogo di ritrovo era il rifugio Semenza, gestito da Nadia Benetti, moglie di Franco, ai piedi del Monte Cavallo, al confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia.

Significa guidare sei ore per camminarne un paio… ma ero certo che il gioco sarebbe valso la candela.

Lasciata finalmente l’automobile, abbiamo inziato a salire.
La prima parte era tutta nella foresta del Cansiglio. I faggi alti e ben distanziati tra loro testimoniavano la cura che la Forestale dedica a questa zona. Via via che prendevamo quota la vegetazione cambiava, apparivano gli abeti e i larici, fino a quando, con un’ultima decisa salita, non ci trovavamo di fronte alla montagna nuda e scorgevamo in alto tra i ghiaioni la meta della nostra gita.

Al rifugio abbiamo trovato una comitiva di amici.
E’ curioso parlare di amicizia tra persone che non si conoscono, eppure fin dal primo momento è stato percepibile il senso di comunione di idee e fratellanza di spiriti.

Verso sera gli ultimi gitanti (il rifugio è ancora aperto nei fine settimana) hanno iniziato la loro discesa, lasciando a noi il campo.
Eravamo una dozzina (per l’esattezza 13 tant’è che a tavola, vista la presenza di Stefano che è un sosia di Gesù di Nazareth, abbiamo fatto a gara per chi interpretava il ruolo di Giuda), provenienti da tutto l’arco alpino, così si mescolavano i dialetti, i cibi e gli aneddoti.

fuoco-caldarroste
Il rito delle caldarroste sul fuoco acquista un sapore diverso tra amici e fuori del rifugio (ph Franz Rossi)

A fine cena siamo usciti nella notte a fare il fuoco per cuocere le castagne e continuare le nostre chiacchiere, rese più fluide da qualche bicchiere di vino.

Abbiamo tirato tardi, ma il mattino dopo ho deciso di salire lo stesso il Monte Cavallo (poco più di mezz’ora dal rifugio) e osservare la pianura.

Camminavo veloce in compagnia dei miei pensieri.
Riflettevo su come fosse stata straordinaria l’esperienza della sera prima.
Persone diverse, legate da un approccio semplice alla vita.
Un pugno di castagne, un bicchiere di vino, la voglia di darsi da fare per gli altri senza attendere compensi.

Forse è questa la ricetta per vivere meglio il nostro tempo.

Se la storia (come la vita) è un cerchio, dobbiamo ritornare a quei valori che hanno creato le prime comunità di uomini.
Delle unità di resistenza al modo di vivere, predominante oggi, in cui non ci riconosciamo più.

E osservando dalla vetta del monte i miei nuovi amici che si scaldavano al sole nella terrazza del rifugio mi sono sentito un po’ meno solo.

Andar di corsa in montagna

Ho passato lo scorso weekend a fare sport in montagna.

Sabato, con un’amica, ho fatto un bel giro di una ventina di chilometri e oltre mille metri di dislivello positivo.
Un giro immaginato durante la notte precedente e modificato in corso d’opera quando, salendo da nord verso la vetta di un monte, abbiamo trovato la neve e non essendo attrezzati con ramponi o ciaspole, abbiamo cambiato programma e abbiamo aggirato la vetta invece che salirla.
Appena rientrati a casa, abbiamo inforcato le mountain bike e abbiamo fatto un’altra decina di chilometri cercando il posto per l’allenamento di domenica.

Domenica, svegliatici con calma dopo una bella serata tra amici, abbiamo fatto colazione, ripreso le mountain bike e siamo andati a fare le ripetute lungo le condotte forzate dell’acqua (magari qualcuno non sa di cosa parlo, quindi ho messo una foto).
Appena rientrati a casa, un bel pranzetto in terrazzo dove ci siamo soffermati a prendere il sole prima di rientrare a Milano.

Valtellina-Vertical
Un’immagine della gara Valtellina Vertical Tube Race, che si corre lungo le condotte forzate dell’acqua

Non vi racconto tutto questo per farmi invidiare (  ), ma perché voglio parlarvi della mia idea di fare sport. E più precisamente di come il senso dello sport in generale e della corsa in particolare, cambi a seconda del luogo dove lo pratichiamo.
Voi direte: “bella scoperta Franz, chiaro che è più bello correre nel bosco in montagna che tra gli ippocastani del parco Sempione”. Vero, ma non proprio così immediato.

Correre in montagna significa cambiare completamente atteggiamento.

Significa dimenticare la distanza in chilometri e misurare solo i dislivelli.
Significa guardare l’orologio non per vedere a quanti minuti al chilometro stiamo andando, ma da quante ore siamo in giro.
Significa essere flessibili, pronti a tornare indietro, ad aggirare un ostacolo, a prendere (anche quando si è stanchi) la strada più lunga e più sicura invece che la scorciatoia.

Correre in montagna, fare attività sportiva in montagna, richiede una maggior attenzione, una maggior esperienza, in una parola una maggior cosapevolezza.

Scommetto che vi mancava qualcuno a farvi la predica il lunedì mattina…
Ma credo che questa sia una cosa davvero fondamentale.
Ed è per questo che ho accettato con gioia l’idea della Società Escursionisti Milanesi (la sezione CAI cui sono iscritto) di introdurre una serata su questi temi.

Il CAI è, per chi va in montagna, l’equivalente dell’Accademia della Crusca per chi scrive.
Racchiude in sè tutte le conoscenze legate alla montagna. E’ il punto di riferimento ufficiale (magari da alcuni percepito come un po’ noioso) delle attività alpine.

E’ chiaro che si può andare in montagna (persino a correre) anche senza aver parlato con il CAI.
Ma se cercate informazioni sicure è lì che dovete rivolgervi.

Lunedì prossimo, 14 maggio, ci troveremo a Milano, nella nuova sede della SEM, per far incontrare il mondo di chi ama la corsa e di chi ama la montagna.
Non bisogna assolutamente essere esperti di trail, ma non è necessario neppure essere dei neofiti (amici trailer di lunga data, venite a portare la vostra esperienza).
Sarà un momento di dialogo e l’occasione di scoprire come avvicinino la montagna gli esperti del CAI.

Ci sarà un ospite d’eccezione, Alessandro Gogna, uno dei fondatori e garanti di Mountain Wilderness, che parlerà proprio dell’approccio etico alla montagna.

Sarà una grande serata.
Confido che in molti veniate, con la mente aperta e la voglia di parlare.

A lunedì prossimo…

[Dettagli della serata a questo link]

Tra realtà e immaginario

E’ tutto il weekend che non riesco a togliermi dalla testa un nome: Luca Borgoni.
E’, anzi era, un ragazzo di 22 anni di Torino.
Uno sportivo, figlio di sportivi, abituato ad esprimere il massimo.
Aveva consegnato la tesi di laurea (sugli effetti degli integratori naturali in quota) che avrebbe dovuto discutere nei prossimi giorni.

Sabato è andato a fare una corsa in montagna, ha partecipato al Cervino Vertical, 1000 metri di dislivello in poco meno di 4 km.
E’ andato bene. I genitori lo hanno festeggiato al traguardo.
Poi ha deciso che voleva tentare di salire più in alto, raggiungere quota 3800 della Capanna Carrel, il rifugio che è il punto di partenza della salita alla vetta.

Un gruppo di scalatori che procedevano sulla stessa via e che lui aveva superato, lo hanno visto cadere.
300 metri di volo.
Niente più laurea, niente più montagna, niente più snowboard…

Luca Borgoni
Luca Borgoni, una grande passione per la montagna

La corsa in montagna è la mia vera passione.
Amo perdermi tra quei giganti.
Amo percorrere i sentieri cercando la sintonia con la Natura.

Forse per questo la notizia mi ha tanto colpito.
O forse perché ho dei figli di poco più grandi.

Luca era sicuramente un atleta preparato, sia fisicamente, sia come esperienza.
Ma c’è qualcosa di sbagliato nella sua morte.
Aveva 22 anni, e come tutti noi seguiva le gesta di Kilian e degli altri campioni.
Magari è stato questo che lo ha tratto in inganno. Un misto di entusiasmo giovanile e mal interpretata epica dello skyrunning.

Proprio venerdì avevo visto “Cervino, la montagna del mondo”, il documentario realizzato da Nicolò Bongiorno sulla Gran Becca (ecco il link al sito della RAI – dura quasi un’ora).
E’ un tributo alla montagna nella ricorrenza dei 150 anni dalla prima ascensione (2016).
50 minuti di lento incedere nella storia. Compiacendosi in riprese e fotografie a scapito della fluidità del racconto.
Nicolò Bongiorno sale in vetta accompagnato da Marco Barmasse, guida alpina e padre del celebre Hervé.
E’ un uomo giovane e in discreta forma fisica, eppure dal suo procedere, dal fiatone che ha all’uscita dei passaggi chiave della via, si intuisce che non si tratta di una passeggiata.

Il pensiero mi andava alle splendide riprese del record di Kilian sul Cervino.
Sottolineata dalla musica ritmata, la corsa di Kiki in salita e, soprattutto, in discesa, fanno apparire quella stessa via un gioco.

Il cinema è finzione.
La televisione è finzione.
Persino i documentari scientifici, pur nell’intento di fare informazione, sono posticci.

Ma questo meccanismo non è chiaro ai più.
C’è ancora chi non capisce la differenza tra le messeinscena di Forum e le vere aule giudiziarie, tra Striscia la Notizia o le Iene e il telegiornale o Report (con tutti i dubbi di faziosità), tra la nostra vita e i film di Hollywood.

Chi produce spot commerciali o video promozionali dell’attività in montagna dovrebbe considerare questo elemento.
Kilian è il risultato di una vita passata in montagna a fare allenamenti che nessuno di noi saprebbe affrontare (oltre che di un innegabile talento genetico).
Non basta indossare le stesse scarpe che indossa lui per salire l’Everest o per correre sui ghiacciai senza sicurezza.
Ci vogliono occhio, gambe, e tanta tantissima esperienza.

Gli organizzatori delle gare in montagna sono bravi.
Sottolineano sempre l’importanza della preparazione, ricordano la necessità dell’attrezzatura completa, scelgono sempre la prudenza del percorso ridotto quando le condizioni meteo lo suggeriscono.

Le guide alpine sembrano eccedere in prudenza.
Ma in realtà sanno cosa fanno: preferiscono arrivare un’ora più tardi o addirittura rinunciare alla vetta, per ritornare sempre a casa.
Lo hanno imparato partecipando ai recuperi dei corpi di decine di vittime dell’imprudenza.

Lo fanno i professionisti.
Chi siamo noi per saperne di più?
Aver guardato qualche video o letto qualche libro ci ha trasformati in esperti?

Scusate, magari tutto questo c’entra poco con la corsa, ma come dicevo all’inzio è un pensiero che ho in testa da sabato.

Luca non ha colpe, e se anche ne avesse avute, ha pagato il prezzo più alto.

E non venite a dirmi che almeno è morto facendo quello che più amava.
Lui di certo avrebbe preferito poter continuare a farlo.

Feeling blu in a Winter morning

coffee mug

Vorrei alzarmi in un mattino di pioggia
e sedermi in sala davanti al computer
con la compagnia di una tazza fumante
e di una nuvola di pensieri.

Vorrei alzare gli occhi e vedere
tra i rami brulli il profilo dei monti
che percorro in ogni stagione
al ritmo del fiato, e delle emozioni.

Vorrei saper trasformare in parole
quello che sento, che vedo, che annuso.
E da ogni persona che incontro,
carpire le memorie di un istante vissuto.

Vorrei trovare l’esatta distanza
a cui tenere il resto del mondo,
per godere della mia compagnia
ma non per questo sentirmi più solo.