Sono comodamente stravaccato sul divano e rifletto sul binomio sport e coronavirus. Non lo sport professionale ma quello amatoriale; quello che pratichiamo un po’ tutti, alcuni per diletto o per salute, altri in modo agonistico, cercando nella competizione una gratificazione extra al semplice star bene.
Il decreto del Presidente del Consiglio ha specificato che si può uscire di casa solo per comprovate necessità: lavoro, spesa, assistenza medica.
E lì è partita la girandola delle interpretazioni, tanto che in successive comunicazioni istituzionali si è dovuto specificare che non vi è il divieto assoluto di uscire, ma quello di creare assembramenti.
Ad un occhio oggettivo appare evidente che vietare ai bambini di frequentare la scuola e poi trovarsi tutti assieme sulle altalene del parco non aveva molto senso.
Altrettanto evidente la chiusura delle palestre e delle piscine non doveva essere rimpiazzata da allenamenti collettivi in giro per le strade del centro.
Sembra che questa cosa sia stata abbastanza capita. Ci martellano con #iorestoacasa e sembra funzionare.
Così qualcuno esce di corsa, evitando il contatto con altri, evitando di mettersi in pericolo (che senso avrebbe caricare il sistema sanitario di un deficiente che si è rotto una caviglia correndo su una pietraia?) ma scaricando la tensione della quarantena.
Eppure, proprio noi che amiamo lo sport e in particolare lo sport di resistenza, dovremmo facilmente gestire questo periodo.
In primis, sappiamo bene cosa significa fare un sacrificio temporaneo per ottenere un risultato a lungo termine.
Quando siamo infortunati restiamo a casa e non corriamo. Farlo significherebbe rischiare di non correre per mesi o per anni.
Con il covid19 se non teniamo botta adesso fino ai primi di aprile (almeno) dovremo fronteggiare crisi ben maggiori.
In secundis, sappiamo cosa vuol dire superare le difficoltà per arrivare al traguardo.
Qui in gioco c’è molto di più di una gara finita: parliamo della salute di tutto il mondo (noi italiani ne abbiamo la consapevolezza già oggi, il resto del mondo ci arriverà a breve).
Infine, noi conosciamo bene il nostro corpo. Siamo abituati ad ascoltarlo, ad interpretare i suoi segnali.
Sappiamo l’effetto del caldo, della sete, della mancanza di cibo, della mancanza del recupero.
Grazie all’esercizio continuo, abbiamo un rapporto con noi stessi molto più affinato rispetto alla popolazione sedentaria.
Il fiato corto per l’umidità dell’aria, o per i residui di una infreddatura, non ci spaventa. Sappiamo che passa…
Diamo ascolto al nostro respiro e preserviamolo. Anche a costo di rinunciare a correre per un po’.
Io vivo tra i monti.
Esco a passeggiare nel bosco senza timore di incontrare miei simili.
Mi considero fortunato rispetto a chi vive in luoghi popolosi e non può uscire senza rischiare di incrociare altre persone.
Sono venuto qui proprio per quello.
Per la necessità che sentivo prioritaria di ripristinare il rapporto uomo natura, di vivere in un mondo reale invece che in uno artificiale.
Ho sempre sentito acuto il richiamo della montagna come palestra per il mio spirito.
Eppure, paradossalmente, adesso anche i cittadini hanno una grande opportunità.
La quarantena per il coronavirus ha rallentato i ritmi, ha riordinato le priorità, ci obbliga a viaggiare dentro noi stessi e non fuori.
Che è esattamente quello che cercavo quando ho abbandonato la città per la montagna.
Ovviamente sto cercando di trovare il lato positivo in una tragedia mondiale, ma pensateci un attimo.
Forse si può sfruttare questo momento per cambiare in meglio.