La programmazione è tutto

Lunedì sera, mentre preparavo la borsa per la mia trasferta di questa settimana, consideravo con attenzione quali impegni avrei avuto in modo da non trovarmi impreparato sul “guardaroba”.
Ovviamente non mi riferisco a camicia e cravatta per un incontro di lavoro, ma a scarpe e zainetto per un’uscita trail.

Mi ha fatto riflettere su come l’organizzare bene la propria agenda sia uno degli aspetti chiave per il successo.
E su come, sempre di più, siamo schiavi della nostra agenda.

Fino a qualche anno fa, in una mia settimana tipo, gli allenamenti si incastravano senza problemi.
Lunedì riposo (dopo la gara o l’uscita lunga di domenica). Martedì e giovedì corsa all’alba prima dell’ufficio, facendo martedì un lavoro intenso e giovedì uno leggero anche perché il mercoledì sera toccava piscina. Venerdì uscita al cazzeggio con gli amici, un’oretta tirando il collo a quelli più lenti. Sabato riposo e domenica gara o lungo.

Ovviamente nel mezzo c’erano trasferte di lavoro, impegni familiari, appuntamenti extra corsa (pochi invero).

Adesso che sono più vecchio e che si è spento il fuoco sacro del gareggiare, dedico più serate al cinema, alle cene con gli amici, alla lettura.
Il giorno di recupero dopo un allenamento non è più un lusso ma una necessità.
Ma, soprattutto, non vivo più schiavo della mia agenda.
Seguo l’ispirazione del momento.

jogger

E’ ovvio che pago un prezzo per questo nuovo atteggiamento.
Non sono più in forma come una volta.
Le lunghe distanze sono pesanti e non più un “allenamento diverso dal solito”.
Nelle corse del venerdì con gli amici sono diventato quello a cui si tira il collo.

Eppure un minimo di programmazione è rimasta.

Faccio attenzione (come detto) ad inserire i giorni di recupero o perlomeno alterno la corsa e un’altra attività (bicicletta o anche un’escursione).
Cerco di alternare un lavoro lungo e uno veloce (anche se i concetti di lungo e di veloce hanno un significato ben diverso oggi).
Infine, siccome ho provato la fatica necessaria per riprendere a correre dopo una sosta di sei mesi, faccio in modo di allenarmi (magari poco) ma con continuità.

La differenza tra allenanarsi e correre non sta nell’intensità o nella frequenza dei lavori, ma nella programmazione.
E questa semplice verità rimane oscura a molti che, difatti, si chiedono “Come mai vado più piano dello scorso anno anche se corro ogni giorno?”

Trovate un allenatore e fatevi fare un piano d’allenamento e i risultati verranno.
Oppure scordatevi di migliorare e godetevi la vostra corsetta quotidiana.

Allenamento funzionale

Per allenamento funzionale (o ginnastica funzionale) si intende una attività motoria eseguibile in palestra o all’esterno finalizzata a migliorare il movimento dell’uomo e l’esplicazione delle funzioni motorie quotidiane. L’approccio a questo genere di esercizi è variegato, a seconda del livello o dell’intensità voluta. A tal proposito vengono utilizzati spesso piccoli attrezzi come funi, sacchi, gomme di camion, tutto ciò che può essere utile per muovere il corpo nelle tre direzioni: laterale, frontale e trasverso…. Fonte: Wikipedia

Sabato ho sarchiato un terreno e vi ho piantato dell’erba.
5 kg di semi e 160 litri di terra (che doveva servire per tutto ma è bastata per circa metà della superficie).
Volevo finire in giornata perché le previsioni davano pioggia e mi sarei evitato l’irrigazione.
Non so quanti metri quadri fossero (circa 300), ma alla sera avevo le mani doloranti e la schiena di legno.

cielo nuvoloso
Il Monte Bianco si nasconde tra le nubi all’orizzonte (ph Franz Rossi)

Domenica mattina, invece, ho approfittato che il cielo presentasse degli sprazzi azzurri e le nuvole stessero ancora dormendo sul fondo della valle per uscire e salire il più rapidamente possibile alla Tete de Comagne (circa 1200 mt di dislivello da casa) per poi affacciarmi sulla valle che si nasconde lì dietro (la val d’Ayas) prima di tornare di corsa a casa.

Mentre facevo la doccia confrontavo i due tipi di fatica.

Enrambi avevano uno scopo preciso: il primo godermi il prato davanti a casa d’estate, il secondo tornare ad un livello di forma non vergognoso per gli appuntamenti in montagna a settembre.

Il primo ha la dignità della tradizione, il secondo il fascino del viaggiare.

Ma in entrambi i casi non sono propedeutici (funzionali) ad altri lavori.

Nel nostro mondo si va in palestra per bruciare le troppe calorie che abbiamo a disposizione, si stimola il corpo per sostituire il consumo legato a quelle attività che facciamo fare ai robot (non sorridete, pensate all’ultima volta che siete salita a piedi evitando l’ascensore o avete lasciato l’automobile a casa: siamo tutti vittime delle macchine).

Siamo diventati cervelli ambulanti.
Il nostro corpo è a rischio estinzione. Lo mettiamo in riserve e lo proteggiamo (le palestre) esattamente come facciamo con gli animali selvatici.

L’allenamento funzionale potrebbe essere una risposta.
Ma dev’essere una preparazione all’attività vera, non essere fine a se stesso.

Sarebbe bello poter fare un passo indietro e restituire la dignità al lavoro fisico, forse ci vaccinerebbe dal predominio dei cervelli.

Il danno è fatto!

Tre gennaio, pausa pranzo, Milano, campo XXV Aprile.
Ho appuntamento con Gianluca per una sgambata di inizio anno.
Non corro da un mese e un giorno. L’ultima volta era stata una passeggiata con i cani, ritmo blando, relax.

Dopo un mese di inattività la voglia è tornata, anche se sono dubbioso di cosa potrò fare.
Così ho deciso di prendere il toro per le corna e ho chiesto a Gianluca di accompagnarmi.

Mentre lo aspettavo davanti al campo sportivo ho riflettuto sulla tessera di ingresso del campo.
140 euro, un piccolo investimento paragonato ai due euro che costa l’ingresso singolo.

tessera

140 diviso 2: se penso di venire al campo più di 70 volte in questo 2018 conviene tesserarsi, altrimenti meglio pagare di volta in volta.

Mentre faccio questi calcoli inizio a pensare che prevedo di correre anche in montagna, che potrei infortunarmi e dovermi fermare per un mese, che in agosto non sarò mai a Milano…
Tutti buoni motivi per non fare questa benedetta tessera.

Poi la parte irrazionale prende il sopravvento, mi avvicino alla guardiola e (come tutti gli scorsi anni) rinnovo anche la tessera d’ingresso al campo.

Correndo con Gianluca mi scordo della mattinata al lavoro, mi scordo dei 140 euro, mi scordo persino che non sono allenato.

E allora, meglio così.
Il danno è fatto, vorrà dire che ammortizzare l’investimento sarà un motivo in più per venirsi ad allenare più spesso…

Si ricomincia!

La maratona è una questione di rituali

Eccomi qua, in viaggio verso New York, concluse le 26 settimane di preparazione, iniziano la decina di ore di viaggio e poi, domenica, le poche ore della gara.

In realtà la cosa sarà un po’ diversa, e anche i prossimi giorni saranno ricchi di accadimenti (oltre alla visita della città).
Perché quando vai a New York ci sono tradizioni da rispettare.
Cose tipo la visita al centro maratona per il recupero pettorale del giovedì.
O la corsetta a Central Park sul percorso del Reservoir di sabato.
O la cena a base di pasta nel ristorante italiano la sera prima…

Rituali che ti avvicinano alla sveglia all’alba di domenica, con il viaggio verso Staten Island e la lunga attesa prima del colpo di cannone.

A ben pensarci, noi maratoneti, abbiamo tutta una serie di piccoli rituali.
Non solo per New York, ma per tutte le gare.

Ci sono i rituali legati all’allenamento.
I tre lunghi, con il terzo lunghissimo da 33/35 tre settimane prima della gara.
Le ripetute lunghe dell’ultima settimana o il diecimila tirato prima di iniziare la settimana di scarico finale.

Ci sono rituali legati all’alimentazione.
Lo scarico proteico della settimana prima e il carico di carboidrati della vigilia.
I gel da prendere al decimo alla mezza e al trentesimo.
La tazzina di caffé subito prima di partire, la mela o l’arancia subito dopo l’arrivo.

Ci sono rituali legati all’abbigliamento.
I capi da indossare nell’attesa e da togliere pochi minuti prima dello sparo.
I cerotti sui capezzoli, il cappellino o la bandana, i manicotti da arrotolare quando poi farà caldo.

Tutte piccole abitudini che hanno un fondo di saggezza e un profumo di scaramanzia.

Ma le abitudini sono una parte importante della vita del maratoneta.
Sono le abitudini che ti spingono fuori al mattino quando non hai voglia.
Sono le abitudini che ti fanno fare decine di chilometri a seduta e che ti fanno mancare la corse se ne salti una.
Sono le abitudini che fanno sì che non ti pesi sommare ai mille impegni quotidiani anche quelli legati al nostro hobby preferito… correre.

motivazione

Jim Rohn, famoso milionario e di conseguenza apprezzato oratore americano, usava dire:
“Motivation is what gets you started. Habit is what keeps you going”, la motivazione è quello che ti spinge ad iniziare, l’abitudine è quello che rende possibile continuare.

E noi maratoneti siamo la conferma vivente di questo assunto.

La fornace

Adesso che ho ripreso a correre con regolarità (inserendo anche lavori specifici e non solamente correndo un’oretta con gli amici di quando in quando) ho riscoperto uno degli aspetti del running che mi ha appassionato di più.

C’è un meccanismo diabolico che riempie le pagine dei giornali e i post su FaceBook.
E’ amato da pochi e profondamente odiato dalla stragrande maggioranza degli umani.
Sovraintende e regola il rapporto tra carburante a disposizione e carburante messo a deposito…

Insomma, sto parlando del metabolismo.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Appena la bilancia ci sbatte in faccia l’evidenza (e per chi non usa l’odioso strumento, saranno i jeans a fungere da ambasciatore), iniziamo subito ad inanellare una serie di motivazioni standard.
I più grezzi diranno “Ho le ossa grosse”, ma quelli più preparati si giustificheranno incolpando il padre di tutte le adipi “Ho il metabolismo rallentato”, o la variante per i diversamente giovani “con l’età il metabolismo rallenta”

t-shirt buffe
L’ossessione dei runners per il cibo è evidente anche dalle magliette che indossano…

L’attività fisica regolare rimette in moto questo meccanismo, che – in soldoni – è piuttosto semplice.
Il corpo si trova di fronte ad un bivio.
Se ci considera pigri, se non ritiene che dobbiamo avere energia sempre a disposizione, si crea delle scorte e trasforma quello che mangiamo in grassi.
Se invece sa che bruciamo regolarmente parecchio, tiene l’energia a disposizione e brucia la maggior parte di quello che mangiamo.

Ovviamente non basta passeggiare con il cane per 30 minuti al giorno, bisogna camminare veloci, fino a quando il respiro è corto.
Oppure correre.

La corsa ci trasforma in fornaci dove tutto ciò che mangiamo diventa energia.
Il bello è che più si mangia e meno si ingrassa.
Se prima bisognava far attenzione al piatto di pasta alla sera, adesso è l’opposto bisogna ricordarsi di mangiare di tutto.
Carboidrati, proteine, grassi.

t-shirt buffe
Ovviamente per cibo si intende ogni nutriente solido e LIQUIDO

Il mio non è un incitamento a strafogarsi di cibo ma un sospiro di sollievo per essermi liberato dalla costante preoccupazione di limitarmi.

Ovviamente c’è il rovescio della medaglia.
Il metabolismo attivo funziona e continua a funzionare anche quando smettiamo di correre.
Ma solo per un po’…

Dopo qualche settimana si placherà e a noi rimarrà solo la sensazione di poter mangiare qualunque cosa.
E gli effetti appariranno immediatamente attorno al girovita.

Ma per adesso sfrutto il momento.
E visto che è quasi mezzogiorno mentre scrivo queste poche righe… buon pranzo a tutti!

Acqua e riposo

Allenarsi per una maratona è un lavoro a tempo pieno.
Quattro volte alla settimana devi dedicare (tra viaggio, allenamento e doccia) almeno due ore e mezza alla corsa.
E parlo di un tapascione come me, non di chi lo fa semi-professionalmente.

Riuscire a ricavare tutto questo tempo dalle nostre settimane super impegnate, di per se, è già un esercizio complicato.
Aggiungete a questo che bisogna farlo rispettando i giorni di recupero e, ovviamente, trasferte di lavoro, meteo incompatibile, impegni familiari non procastinabili.

Non mi sto lamentando, sapevo a cosa andavo incontro.

Gli allenamenti proseguono.
Ieri un’ora di corsa lenta, oggi una dozzina di chilometri con variazioni di ritmo, e si procede così verso l’appuntamento clou: il lunghissimo di domenica.
E poi inizierà la discesa verso la maratona.
Tre settimane in cui finalizzeremo la preparazione e, consci di aver fatto il nostro dovere, ci prepareremo alla gara.

C’è un che di liberatorio in questa ultima fase.
Siamo entrati nella 23esima settimana.
La strada percorsa è molto di più di quella che manca.
Sono contento di come stanno andando le cose.

river

Adesso mi sto concentrando su due aspetti fondamentali: l’acqua e il riposo.

Durante il giorno, bevo più che posso.
L’acqua è fondamentale per tenere in forma il corpo.
Reintegro i liquidi persi in allenamento.
Mi aiuta a purificarmi, eliminando tossine e fibre in eccesso.
Mi fa sentire più vigile e attivo.

E poi il riposo.
Ho già scritto (qui) del fatto che cerco di dormire più a lungo.
Ma faccio anche attenzione a rispettare i carichi di lavoro assegnatimi (senza strafare) e rispettare le giornate di recupero.

Voglio arrivare al 5 novembre rilassato e riposato.

Oddio, riposato di certo.
Per rilassarmi, purtroppo, dovrei riuscire a smaltire i vari impegni.
Dedicare più tempo alla corsa che al resto…

Ma nel mio caso, come nella stragrande maggioranza dei maratoneti amatori, questo rimane un sogno.

Un filo d’ansia

Oh oh, ci siamo….
Manca un mese esatto alla fatidica data: 5 ottobre – 5 novembre.

Oggi tra un mese ci alzeremo all’alba, saliremo sul pulmino che ci porterà al ponte di Verrazzano, e l’ultima parte di questo fantastico viaggio avrà inizio.

Com’è strano il nostro cervello.
Un mese mi sembra pochissimo, ma se penso da quanti giorni sia formato e a quanti chilometri in allenamento dovrò ancora percorrere, allora le cose prendono un’altra prospettiva.
Eppure, a vedere questa data sul calendario, l’agitazione inizia a salire.

Mancano 31 giorni, un lungo (che correremo domenica 15), le settimane di scarico (il periodo più bello della preparazione).
Tutto è stato fatto come da manuale: sono in ottima forma fisica, non ho dolori, non sono particolarmente affaticato.
Tra l’altro la maratona è una gara che ho corso moltissime volte, nelle più diverse condizioni.

calendario

E allora?
Qual è il motivo di questa mia agitazione?

Il fatto è che la maratona incute sempre rispetto ai runner.

Chi non corre, dopo essersi accertato che anche NY sia lunga 42km, commenterà “Cosa vuoi che sia per te? Hai fatto la 100km, il Tor des Geants, questa è una passeggiata”.
Ma la maratona non è solo una distanza da coprire nel minor tempo possibile.
E’anche un mito da sfidare.

Ovviamente non si tratta della paura di morire (Fidippide, l’emerodromo che si narra morì dopo aver portato ad Atene la notizia della vittoria sui Persiani nella piana di Maratona, probabilmente è solo una leggenda).
Ma le nostre paure sono forse più piccole, ma molto concrete.

Come vestirsi, come alimentarsi e, soprattutto, che passo tenere.
Perché in maratona non c’è possibilità di errore.
Sbagli il ritmo alla partenza andando troppo forte e prima della fine salti e cammini fino al traguardo.
Sbagli il ritmo alla partenza andando troppo piano e quel numero che avevi in testa diventa irraggiungibile.

La maratona è, prima di ogni cosa, un progetto che parte mesi prima.
Poi è la capacità di tenere un ritmo stabilito.
Infine è riuscire a tener duro nel momento (immancabile) della crisi.

Ci vuole un ingegnere, un ragioniere ed un guerriero, tutti nelle stesse scarpe.

Manca un mese.
La sveglia stamattina è suonata come tutti gli altri giorni.
Oggi mi allenerò al campo (ripetute lunghe).
A cena starò ancora attento a cosa mangio.

E domani, dopodomani, la prossima settimana, farò lo stesso.
Quindi non ci sono motivi per essere in tensione.

Però oggi, solo oggi, osservando la data del calendario, lasciatemi essere un po’ in ansia.

La sindrome del treno che passa

Il coach continua a ripetere quanto sia importante la giornata di riposo.

Sostiene che dobbiamo dare al nostro corpo il tempo di adattarsi al carico cui lo sottoponiamo.
Quindi ci esorta a non fare, nei giorni dedicati al recupero, uscite di corsa con gli amici.
A non sostituire l’ora di corsa lenta con altri allenamenti.

Ed il coach ha sempre ragione…

Diciamo che ho deciso di prenderlo in parola e di ampliare un po’ il concetto di recupero.

Avevo notato che, un po’ per lo stress al lavoro, un po’ perché gli impegni “sociali” e quelli “casalinghi” mi riempivano le serate, negli ultimi due mesi avevo iniziato ad andare a dormire più tardi del solito.
Lo scorso weekend, però, sono andato in montagna e, grazie anche alla pace che quei luoghi mi ispirano, avevo finito con dormire 8 ore filate, notando poi al mattino come fossi più riposato.

Detto fatto.
Ho deciso di modificare il mio stile di vita e di dormire un po’ di più.

il runner e il sonno
Il runner e il sonno

A voi sembrerà normale, ma a me no. Io sono un drogato di partecipazioni.
Non nel senso che collezioni inviti a nozze degli amici, ma se qualcuno mi invita a fare qualcosa, o mi stimola a provare nuove esperienze, io non dico mai di no.

La chiamo la “sindrome del treno che passa”.
E’ come se avessi paura di perdere un’occasione.
Avete presente quel modo di dire “questo treno (o autobus) passa una volta sola”? Ecco è come se alla stazione dovessi salire su tutti i treni.

Razionalmente lo so che è sciocco.
I treni vanno scelti in base alla direzione in cui vanno.
Ma è più forte di me.
Mi piace essere aperto, sfruttare ogni momento.
Mi dico “Magari quel treno non andrà in un posto che mi interessa, ma chissà che persone interessanti posso incontrare!”

Questo ha funzionato piuttosto bene nel passato.
Ho fatto molte più cose di tanti altri coetanei.

Ma con l’età è venuta la consapevolezza che il Tempo è una moneta rara che dobbiamo investire con oculatezza.
Che, per restare nella metafora di prima, magari un treno “sbagliato” mi farà conoscere gente interessante, ma di certo mi obbliga a sprecare tempo per tornare sul mio cammino.

Così è cominciata ad arrivare la serenità nel fare le scelte.

Non spreco più serate con persone che non mi interessa frequentare.
Non spreco più tempo a tentare strade nuove ad occhi chiusi, ma faccio in modo, ad ogni bivio, di riflettere e di scegliere.

Non vivo più la scelta come “scartare una possibile buona opportunità” ma come fare un passo avanti verso la mia personale meta.

Abbiate pazienza, io sono così.
Devo spiegare con ragionamenti (spesso contorti) ogni mia singola azione.

Quello da cui sono partito, quello che volevo dire, è che da questa settimana ho raffinato la mia preparazione alla maratona.
Non solo faccio quattro sedute di allenamento alla settimana.
Non solo mangio con oculatezza.
Ma ho aggiunto due ore di sonno ad ogni mia notte.

L’unico Tempo sprecato è quello lasciato passare senza aver deciso prima come impiegarlo.
E dormire è un impiego valido tanto quanto allenarsi, leggere o lavorare.

Buona giornata!

33 e non sentirli

Permettetemi di essere un po’ autocelebrativo.

Sabato mi toccava il primo lungo pre-maratona.
Mi ero già avvicinato ai 30 un paio di volte, ma sabato dovevo correre 33 chilometri.
Il ritmo non è ancora così importante, quello conta è stare sulle gambe per tre ore e iniziare a conoscere la fatica che deriva non dall’intensità dello sforzo ma dal suo prolungamento nel tempo.

Sgombro subito il campo: li ho portati a casa.
Ho fatto fatica, forse più di quella che speravo.
Domenica avevo i glutei indolenziti e ancora stamattina sento i polpacci rigidi.

E allora cosa hai da celebrare?

Ho parlato di celebrazione perché vi voglio raccontare l’incredibile evento all’interno del quale ho corso il mio lungo.
E nello specifico di autocelebrazione perché voglio parlare di una manifestazione organizzata dalla società per cui corro: amostthere.

La Milano-Pavia era una gara classica, cui i milanesi erano affezionati: perfetta per preparare le maratone autunnali, con i suoi 33 chilometri dalla Darsena di Milano al centro di Pavia, aveva anche quel profumo di impresa (“Sei andato a Pavia di corsa?!?”) che la rendeva appetibile e il fatto che se ne fossero corse decine di edizioni aggiungeva un fascino di tradizione alla gara.
Purtroppo da qualche anno gli organizzatori avevano dovuto dare forfait. I costi e la complessità logistica…

Con quel pizzico di pazzia che contraddistingue quelli di almostthere, si è deciso di riproporla ma con un nuovo spirito: non più competizione, ma allenamento collettivo.
E’ nato così il #tt thirty training.

Ci siamo trovati alle 7:45 del mattino in Stazione Centrale.
Abbiamo ritirato una sacca gara personalizzata con dentro un numero adesivo e un braccialetto con lo stesso numero e, poiché ad almostthere piace strafare, un po’ di integratori.
8:25 partenza (puntuale) del treno. Frizzi e lazzi in carrozza. Con Danilo Goffi e Michele Ronzulli (che insieme ad Ippolito Alfieri sono gli ideatori di questa cosa) a dare le ultime indicazioni.
8:57 arrivo a Pavia.

briefing
Danilo Goffi tiene il briefing prima della partenza del Thirty Training (ph almostthere)

Ci sono i pacer per i vari ritmi (con le magliette rosse personalizzate).
Partono prima i più lenti (6’23″/km che vale 4 ore e 30 in maratona) e via via tutti gli altri.
Davanti Ippolito con la bicicletta.
Altri angeli custodi in bici seguivano i vari gruppi.
Marco a chiudere in moto e fare da scopa.

Pavia si stava svegliando in un sabato mattina che prometteva pioggia.
Abbiamo attraversato il mercato e in poco più di un chilometro eravamo sul Naviglio Pavese.

La voce di questa manifestazione si era sparsa.
La scelta di almostthere è di essere sempre inclusivi, quindi era aperta a tutti e gratuita a prescindere dalla società di appartenenza.
Alla fine eravamo un centinaio a correre lungo il naviglio.

partenza
Ecco il bel gruppo di runner di tutte le società che hanno partecipato al Thirty Training (ph almostthere)

Il tempo volge al bello (in tutta onestà non so come abbiano fatto a rovesciare il meteo).
Il percorso offre scorci incantevoli, dai residui di un’archeologia industriale fatta di vecchi edifici alla maestosa sacralità della Certosa di Pavia che scorgiamo da lontano.

Nel gruppetto con cui corro ci sono alcune persone che conosco e alcune che vedo per la prima volta, ma è come se ci fossimo conosciuti da sempre.
Chiacchieriamo di gare, di montagna, commentiamo il panorama, il meteo, salutiamo i runner e i ciclisti che incrociamo…
E siamo già al primo ristoro.

Come dicevo sopra, ad almostthere piace fare le cose per bene, tutti i chilometri erano segnati, c’erano ristori ogni 5 km con acqua e dal 15esimo in poi anche con i sali.
In realtà, più che per l’effettiva necessità di bere, a me i ristori servono come traguardi intermedi per spezzare il lungo.
Invece di pensare ai 20 o 15 km che mancano, penso solo ai 3 o 4 che mi separano dai volti amici del ristoro.

Ed in effetti erano proprio amici.
Li avevano soprannominati “santi” e come tali indossavano la maglietta rossa dell’organizzazione (un po’ di sana blasfemia!) e delle candide aureole.
Avevano pronti per noi degli shottini di acqua o di sali (alcuni pensavano si trattasse di grappa o spritz) e, soprattutto, fungevano da punto di raccolta: se qualcuno era in difficoltà avrebbe potuto rientrare in macchina con loro a Milano (servizio navetta personalizzato in caso di ritiro).

Via via che passavano i chilometri la mia baldanza iniziava a sparire.
Il Naviglio scorre da Milano a Pavia quindi, facendo il percorso inverso, la strada è tutta in leggera ma continua salita.

Patrizia (compagna di squadra e di trasferta a New York) procedeva tranquilla, io cominciavo a sentire la fatica.
Danilo, che ci seguiva in bicicletta passando da un gruppo all’altro (avrà fatto 70 km!) ha la capacità di manifestarsi sempre quando io sono in crisi.
“Dai Franz, non vorrai mica mollare adesso! Raddrizza le spalle, non trascinare i piedi…”

Al 26esimo chilometro ci viene incontro Alessandro (Bertani, vicepresidente di Emergency che con Ippolito Matteo e me forma il quartetto del progetto #26W26M) che oggi deve fare solo una decina di km in scioltezza.
Mi raccatta e mi accompagna fino in Darsena dove c’è un mega comitato di accoglienza, con tifo, fotografi, ristoro finale e, ovviamente, le nostre borse con il cambio che avevamo affidato agli organizzatori a Pavia.
“Certo che avete organizzato le cose in grande, ci sono gare con meno servizi che qui” commenta Alessandro facendomi inorgoglire della società per cui corro.

arrivo
Alessandro Bertani (dx) scorta Franz Rossi all’arrivo in Darsena durante la Thirty Training (ph almostthere)

Ecco, i 33 chilometri li ho fatti e, in totale onestà non posso dire non sentirli (adesso).
Ma durante la splendida mattinata di sabato sono stati un piacere, divertimento puro.

Sono grato a Michele e Ippolito per lo sforzo organizzativo.
E sono orgoglioso di fare parte di almostthere.
Non solo perché il suo nome è diventato sinonimo di qualità negli eventi sportivi.
Non solo perché continuano a proporre idee innovative e divertenti (cito a caso: la corsa nei musei, la almostbeer, le nottate in montagna con il gruppo dis’ciùles).
Ma soprattutto perché tutti i soci che non hanno corso il lungo sabato mattina li ho visti ai banchetti dei ristori, in bici sul percorso, all’arrivo a fare festa.

Ecco cosa significa per me fare sport: amicizia e condivisione di valori.
almostthere è sinonimo di tutto ciò…

PS New York è sempre più vicina!

Allenamenti saltati e senso di colpa

Prime giornate fredde.

Scendere dal letto al mattino per andare a correre richiede uno zic di forza di volontà in più.
Stamattina sveglia, un po’ di stretching per riattivare i muscoli, una maglia a manica lunga da indossare sopra la solita ed eccomi fuori.

Ieri sera sono tornato da una trasferta di lavoro ad Amsterdam.
Due giorni intensi, nei quali non ero riuscito a correre, bucando così una delle sessioni di allenamento previste in tabella.

Sapevo che, prima o poi, sarebbe successo e non l’ho vissuta come una tragedia [sì, lo so, questo può suonare strano forte ad uno che non corre con le tabelle, ma noi tabellati siamo così! NdA].
Martedì e oggi avevo un’oretta di corsa lenta, ma in entrambi i casi li ho trasformati in un’uscita allenante.
L’ultima volta avevo fatto un progressivo bello veloce, oggi non volevo strafare perché domani c’è il lungo, quindi sono partito tranquillo per le strade del mio quartiere.

E’ una delle dimensioni che amo di più della corsa.
Esplorare lentamente le strade che percorriamo di giorno in tutta fretta.
Scoprire la vita dietro le finestre che si accendono al mattino.
Incrociare ed imparare a conoscere i mattinieri: l’edicolante, la ragazza con il cane, la suora che esce dalla chiesa, il clochard che dorme sulla panchina del parco.

Il cielo, nel frattempo, si tinge di viola e poi di rosso.
Il corpo si è riscaldato e le gambe girano meglio.

Mentre attraverso il parco di Trenno scambio un saluto con i runner che, come me, affrontano la giornata al trotto.
Anche questo è un universo: la coppia che alterna corsa e cammino, il tipo stempiato che sta sicuramente preparando una gara e che guarda più il cronometro che le persone che incontra, la ragazza forte, che corre in scioltezza ad una velocità che io mi sogno anche nelle ripetute brevi, il tapascione che ogni giorno si fa i suoi 6-7 chilometri nella convinzione di sfuggire all’età che avanza.

Siamo tutti rappresentati in questo poliedrico spaccato di umanità.
Anch’io, con la mia voglia di maratona e i sensi di colpa per l’allenamento saltato.
Torno a casa con una decina in saccoccia a ritmo vicino a quello da tenere in maratona.

Domani tocca il primo vero lungo.
33 chilometri da Pavia a Milano grazie all’allenamento collettivo organizzato da almosthere

Stay tuned, che ci sarò da ridere!