Era uno di quei momenti che temevo.
Tornare a gareggiare equivaleva a guardarmi allo specchio, fare il punto della stagione.
Se aggiungete anche la classica domanda “E allora, com’è andata?” del lunedì mattina che ti fa sentire in un perenne stato da pre-interrogazione scolastica, beh allora la voglia di farlo era davvero poca…
Però, almeno questa volta, posso dire che è andato tutto bene.
(E già lo so che ci sarà una prossima gara in cui pagherò questo ingiustificato atteggiamento festante).
Domenica sera, con il la mia società sportiva, abbiamo partecipato alla Magnolia Run.
Una corsa di poco più di 6 chilometri intorno all’Idroscalo di Milano organizzata da “De ran clab” e “Purosangue Athletics Club” (un progetto davvero bello che seguo da qualche anno).
E’ una non competitiva. Quindi niente pettorali, niente classifica finale e, oggettivamente, livello competitivo basso.
C’erano alcuni atleti molto forti che hanno corso per il piacere della compagnia più che per far gara davvero.
Comunque, tutto ciò detto, alle 19 meno qualche minuto ci siamo messi in posa sotto il gonfiabile per le foto di rito (ed essendo in gruppo con Danilo, eravamo in prima fila).
Mi ero riscaldato per bene, ma sentire il gruppo che scalpitava alle mie spalle ansioso di partire mi ha fatto concentrare sul primo problema: dove infilarmi per non essere schiacciato?
Lo speaker annuncia il conto alla rovescia, e siamo in gara.
Mi ero ripromesso di non guardare mai il gps, ma di basarmi esclusivamente sulle sensazioni.
Conoscendo molto bene il giro, sapendo in anticipo dove si trovavano i tratti in leggera salita o lo sterrato, sapevo come dosarmi.
E così ho fatto.
Dopo il cartello del secondo chilometro (il primo non l’ho neppure visto) mi sono assestato sulla velocità di crociera (o meglio sulla quantità di fatica che pensavo di poter mantenere fino alla fine).
Nel frattempo avevo iniziato a far conoscenza con gli altri concorrenti.
Chi non corre stenta a crederlo, ma in gara – anche quelle super veloci in cui non si parla – si crea uno speciale rapporto con i “pari-passo“, cioé con le persone che corrono al tuo stesso ritmo.
Io avevo individuato tre possibili lepri, persone da tenere nel mirino, un gruppetto di filippini con un signore anziano che era partito in prima fila, un ragazzino di 10/12 anni, e Fabio, mio compagno di squadra capace di ritmi ben più veloci del mio, ma che potevo cercare di tenere per avere uno stimolo in più.
Poi nel corso della gara ero stato raggiunto e superato da un bel gruppo di persone. Alcune se ne erano andate, ma altre si erano assestate su un ritmo simile al mio.
Al secondo chilometro avevo raggiunto il signore anziano (ti piace vincere facile, neh?), nella salitella in prossimità della prima grande curva avevo raggiunto il ragazzo, Fabio invece progrediva inesorabilmente lasciandomi indietro.
Mi raggiunge la prima donna in gara (ripeto non c’erano atleti di livello elevatissimo, di solito fatico a tenere il passo della 30esima delle concorrenti) e la osservo sfilare via.
La seconda donna mi raggiunge al cartello del terzo chilometro, è accompagnata da un amico e decido di provare a tenere il suo passo.
So che Claudia, altra compagna di società, è partita subito dietro di me e dovrebbe procedere più o meno al mio ritmo, quindi mi faccio un appunto mentale di contare le donne che mi supereranno per incitarla.
Sullo sterrato inizio a faticare.
Decido di calare un po’ il ritmo e resisto alla tentazione di spiare l’orologio.
Al quarto chilometro punto due ragazzi con la maglia filippina (erano presenti in gran numero) e cerco di non lasciarli andare via.
Sembrano andare tranquilli, ma li avvicino in discesa e li perdo in salita.
Mi supera la terza donna, il suo compagno la incita “dai che al quinto andiamo via in progressione…”
Provo a stare con lei, visto che sembra essere in difficoltà, ma il seguito proverà che avevo torto.
Insomma è un continuo attaccarmi a qualcuno che mi supera da dietro. Ma non riesco a tenere i loro ritmi.
Un ragazzo con la barba mi supera, lo raggiungo e lo risupero, dopo 50 metri è di nuovo lui ad andare avanti.
Intanto siamo arrivati ai due ponticelli che precedono l’arrivo.
I due ragazzi filippini hanno magicamente in mano una bandiera che sventolano trionfanti.
Un ultimo sforzo – mi dico – e finalmente raggiungo gli altri componenti della squadra sotto il gonfiabile dell’arrivo.
Danilo mi prende i giro: “perché non hai fatto la volata? sei davvero un maratoneta!”
Io fermo il cronometro e non riesco a credere al tempo finale.
Ritmo medio 4’38″/km meglio di qualsiasi più rosea previsione.
Se mi avessero chiesto a cosa puntavo avrei risposto che sarei stato felice di stare di un paio di secondi sotto i 5’/km.
Ebbro di endorfine vado al ristoro ed incontro un sacco di amici, Claudio, Mauro, incrocio perfino Max Monteforte (fondatore dell’associazione Purosangue) con il quale mi complimento per la bella manifestazione.
E poi di corsa alla macchina per tornare a casa e godermi una serata con mia figlia…