Ogni giorno incontro una gran voglia di ripartire.
L’amico barista, nonostante non abbia percepito reddito per 4 mesi e ancor oggi veda il numero di clienti ridotto ad un terzo rispetto al pre-Covid, mi accoglie con un sorriso. Ha sfruttato il tempo del lockdown per rinfrescare il suo locale, per renderlo più arioso, più allegro.
Un negoziante mi parla dei suoi progetti di organizzare un evento sportivo per offrire ai runners la possibilità di tornare a gareggiare. Lui vuole sponsorizzare, essere d’aiuto, imprimere una spinta positiva al movimento. Perché sa che solo quando ripartiranno le gare anche il suo negozio tornerà a rivivere.
Un altro locale si ingegna ad organizzare degustazioni, serate letterarie, iniziative per i bambini.
Un bed & breakfast ha ampliato la sua offerta agli ospiti, ha creato una mini biblioteca ad hoc e sta lavorando a delle video guide sulle attività da fare nei dintorni della sua struttura.
Insomma, quella che respiro è un’aria positiva di rinnovamento, di proattività, di voglia di fare.
Chiaramente i privati sono motivati dalla necessità: se non si riparte dovranno chiudere ed andare ad ingrossare le fila dei disoccupati. Ma nessuno si tira indietro, anzi – come ho detto – affronta questo tempo difficile con il sorriso sulle labbra e la rinnovata voglia di fare.
Sembrerebbe quasi un nuovo Rinascimento.
E come nel passato, saranno gli individui a fare la differenza.
E’ necessario cambiare passo.
Dobbiamo passare dalla difesa (contro il coronavirus) all’attacco (contro i nefandi strascichi economici del lockdown).
Ma l’iniziativa deve passare dai grandi ai piccoli.
Le grandi aziende ragionano con i grandi numeri e le statistiche, sono le piccole imprese che oggi possono far rinascere l’Italia. Rischiando ovviamente, come tutti gli imprenditori (degni di tal nome) sono abituati a fare.
Nelle piccole aziende, lo sforzo dei singoli crea valore aggiunto.
Nelle grandi aziende, lo sforzo dei singoli non diventa mai corale.
La vera sfida, però, è di tipo politico.
Mai come oggi manca è la spinta dallo Stato, del Governo centrale e di quelli locali.
I politici sono più preoccupati a piantare paletti che a spianare le strade.
Capisco, ovviamente, che la prima responsabilità di un politico sia di salvaguardare la salute pubblica.
E’ stato fatto e, grazie alle indicazioni dall’alto e al corale sforzo dal basso, stiamo venendo fuori dalla pandemia.
C’è ancora bisogno di cautela, ed infatti indossiamo le mascherine in prossimità di sconosciuti e, ancor più importante, monitoriamo la nostra salute ed evitiamo di esporci (ed esporre gli altri) a possibili contagi.
Ma non possiamo più pensare a “sopravvivere” dobbiamo tornare a vivere.
Quindi anche qui dev’esserci una presa di coscienza dei politici locali.
Il governo centrale ha dettato le norme e guida prudentemente il Paese, ma i governi locali che sono a conoscenza delle loro micro-realtà possono adattare quelle norme di prudenza, allargando le maglie e spingendo per un pronto ritorno alla normalità.
L’assurdo meccanismo delle responsabilità (politiche ma anche penali) fa sì che chi ci guida sia più attento ad evitare i problemi che a procurare opportunità.
Ci voglio uomini coraggiosi che si mettano a capo dei volonterosi imprenditori e negozianti, offrendo un contributo (economico ma anche logistico e legislativo) per lanciare nuove opportunità, iniziative che riportino le persone per strada, i turisti sulle spiagge e sulle montagne, gli ospiti negli alberghi e nei ristoranti.
Mi appello a tutti i politici di buona volontà.
Cavalcate l’ondata di entusiasmo e di voglia di fare, non frenatela.
Così sarete a capo di una comunità viva e rinnovata che vi riconosce come leader.
In caso contrario sarete ricordati come i guardiani di un cimitero.