Ho incontrato Alessandro Bertani, vice presidente di Emergency e compagno di avventura nel progetto #26W26M (“26 weeks for 26 miles“) che ci porterà a correre la maratona di New York del prossimo 5 novembre.
Alessandro è un runner convinto con già alcune 42,195 km alle spalle, ma come me alla sua prima esperienza alla maratona per antonomasia.
Il progetto #25W26M che stiamo raccontando fin dall’inizio su questo mio blog e sul sito della Repubblica dei runner si prefigge come scopo quello di testimoniare il nostro appoggio alla ong creata da Teresa e Gino Strada ma anche, e soprattutto, di raccogliere fondi che verranno utilizzati per fornire i medicinali nel campo profughi di Arbat in Iraq.
Alessandro, partiamo dall’inizio, come si coniugano Emergency e la corsa? Intendo sia nella tua vita personale che da un punto di vista più istituzionale.
“Trovo nella maratona una metafora significativa della ragione di esistere di Emergency. Nel nostro lavoro, abbiamo un traguardo chiaro da raggiungere davanti a noi: l’abolizione della guerra. La guerra è la più grande tragedia umana, il più grande crimine contro l’umanità, che provoca solo morte, distruzione e povertà. La cultura della guerra può solo creare le premesse di una prossima guerra. Nei conflitti contemporanei, oltre il 90% delle vittime sono civili. Stiamo andando incontro alla distruzione del nostro futuro, del genere umano. Abolire la guerra potrebbe sembrare un traguardo folle, utopico. Bene, pensavo la stessa cosa quando sognavo di correre una maratona: un obiettivo folle, utopico, che non avrei mai potuto raggiungere, pensavo. E, invece, un obiettivo ambizioso come tagliare il traguardo di una maratona si può raggiungere, l’ho fatto pure io. Come? Alleandosi, con costanza e determinazione, avendo deciso che quella è la strada da seguire, che passo dopo passo quel traguardo si può raggiungere, perché senza un traguardo non si arriva da nessuna parte. Così è, così sarà, per l’abolizione della guerra. Così è stato per altre follie umane che abolire sembrava in passato utopico, come la schiavitù, che era addirittura legale fino a poco più di un secolo fa: si tratta di ieri, nella storia dell’uomo. Come ci si deve allenare per correre una maratona, con il corpo ma soprattutto con la mente, per abolire la guerra bisogna imparare ad allenare le nostre coscienze, bisogna innanzi tutto volere raggiungere quel traguardo. E poi cominciare a muovere un passo dopo l’altro in quella direzione, nel nostro vivere quotidiano”.
Emergency ha tra i suoi testimonial diversi personaggi sportivi famosi…
“Emergency ha avuto e ha diversi personaggi sportivi come sostenitori. La ragione potrebbe forse essere perché lo sportivo ha una sensibilità particolare verso l’integrità del proprio corpo e sente quindi più vicina la minaccia del dolore, dell’infortunio, della menomazione che può compromettere il suo vivere quotidiano, come purtroppo succede alle vittime della guerra e della povertà. E’ una sensibilità simile a quella che condividono molti artisti vicini ad Emergency: l’arte, la bellezza, la poesia e la gioia della vita che rischiano di essere spazzate via in un secondo dall’orrore della guerra.
Un altro modo di raccogliere fondi, invece, è quello delle cosiddette charities, gare di corsa in cui i partecipanti si impegnano a fare fund raising per le ong. Nel mondo è piuttosto diffuso (New York, Londra, Vienna) ma in Italia si è cominciato da poco. C’è la maratona di Milano che con la sua prova a staffetta offre alle associazioni no profit un’occasione per farsi conoscere e raccogliere denaro. E poi ci sono altri organizzatori che devolvono a noi di Emergency una parte del costo del pettorale, mi viene in mente il Tor des Geànts, oppure la Strabologna o il circuito trail del Trofeo Malaspina. O le gare non competitive organizzate dai volontari di Emergency e il cui ricavato va tutto all’attività sul campo”.
Insomma, il running in prima fila…
“Il mondo della corsa che ho conosciuto, soprattutto negli ultimi anni, è portatore di un grande messaggio di solidarietà. Credo sia un modo per restituire qualcosa a chi non può permettersi la gioia di poter praticare sport, qualcosa che noi diamo per scontato, come numerosi comportamenti del nostro quotidiano, comportamenti che invece sono inaccessibili a moltissime persone nel mondo. Pensa a chi fugge dalla guerra e dalla povertà. O pensa addirittura a chi non può nemmeno permettersi di pensare di fuggire dalla guerra e dalla povertà che condizionano le loro vite. A Ostia abbiamo costituito un’associazione sportiva amatoriale, Runners for Emergency, che in soli tre anni è diventata una delle più importanti realtà della capitale. A Milano c’è X.Runners for Emergency, altra realtà impegnata da anni a sostenere Emergency correndo. Mi sembra un canale sano e importante per trasmettere il nostro messaggio di pace e solidarietà”.
Credo sia importante spiegare come funzionano la ripartizione tra i fondi raccolti e i costi per gareggiare
“Emergency pone sempre una grande attenzione alla trasparenza ed è guidata da un principio semplice. Tutto il ricavato deve servire alla missione di Emergency. Non copriamo le spese dei fund raiser, non copriamo i costi dell’organizzazione, tutto quello che raccogliamo serve al progetto specifico che viene dichiarato. Come nel nostro caso, Franz. Tu, Ippolito, Matteo, Pierpaolo ed io ci siamo impegnati in questo progetto di raccolta fondi, #26W26M, chiedendo alle persone di contribuire con una donazione a favore dei pazienti visitati nei centri sanitari di Emergency nel Kurdistan iracheno, facendoci carico noi dei costi di viaggio e di alloggio per la maratona di New York, che correremo insieme. Noi ci mettiamo questo, ci mettiamo la nostra passione e la nostra partecipazione diretta e chiediamo a chi non lo potrà fare personalmente di donare anche solo un piccolo contributo a sostegno del progetto che ci siamo posti come obiettivo: 15mila euro, per coprire il costo di tre mesi di farmaci per i centri sanitari di Emergency nel campo profughi di Arbat, nel Kurdistan iracheno. E io mi impegno a consegnare personalmente i fondi raccolti ai nostri colleghi e a documentare così anche questa nostra attività”.
Ma Emergency di cosa vive?
“Emergency può contare su numerosi piccoli sostenitori, che contribuiscono alla nostra attività come possono, attraverso donazioni occasionali, donazioni continuative (che rappresentano per noi la forma migliore di sostegno, perché ci consentono di programmare gli impegni con maggiore tranquillità), il 5 per mille, i lasciti testamentari, che sono una straordinaria testimonianza di continuità sui valori condivisi, da trasmettere alle future generazioni. Dei circa 50 milioni di euro che raccogliamo negli ultimi anni, il 92% circa viene direttamente utilizzato nella nostra attività istituzionale, la cura di pazienti vittime della guerra e della povertà in Afghanistan, nel Kurdistan iracheno, in Sudan, nella Repubblica Centrafricana, in Sierra Leone, in Italia, impiegando circa 3.000 dipendenti tra medici, infermieri, amministratori, logisti, personale di servizio e di supporto all’estero e nel nostro Paese, e promuovendo una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani. Dal 1994 ad oggi abbiamo curato oltre 8,5 milioni di persone, 900mila solo nell’ultimo anno”.
Mi sono reso conto che abbiamo parlato di tutto, ma non di quello che fa Emergency. Forse io do sempre per scontato che tutti lo sappiano.Mi potresti racchiudere in una frase lo scopo dell’associazione?
“Costruiamo e gestiamo ospedali e strutture sanitarie nel mondo e in Italia e lavoriamo perché un giorno la guerra venga abolita dal futuro dell’uomo”.
E, per quelli che sono disattenti, cosa c’entra questo con l’Italia? Perché so che siete presenti in modo ormai capillare anche qui da noi che con la guerra c’entriamo poco (fortunatamente!)
“Sei sicuro Franz, che la guerra non c’entri con il nostro Paese? Non solo perché noi, come parte del mondo occidentale civilizzato e benestante, esportiamo guerra e importiamo povertà. In Italia da undici anni ormai denunciamo l’esistenza di una guerra ai poveri, alle persone in stato di bisogno, che siano stranieri o italiani poco importa. Si tratta di persone dimenticate, alle quali è negato il diritto alla cura, un diritto fondamentale dell’uomo riconosciuto dalla nostra costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Secondo il Censis sono ormai 12 milioni le persone nel nostro Paese che non hanno possibilità di accesso alle cure secondo i loro bisogni. 12 milioni, Franz. Una persona su cinque che si trova a vivere nel nostro civilissimo Paese. Un Paese che lascia per strada gli ultimi perde la ragione prima del suo esistere, perde il fondamento del vivere insieme. Perché accetta la logica – inumana – della sopravvivenza del più forte, che significa poi del più ricco. Il primo preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo stabilisce che ‘il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo’. Sai qual è il concetto che trovo più bello in questa affermazione di principi così alti? L’essere membro di una unica famiglia umana”.
Per chiudere e tornando alla corsa: cosa ti aspetti da questa maratona di New York?
“Mi aspetto solo di raggiungere il traguardo, con te e con tutti gli amici che correranno con noi, mi aspetto che tagliare quel traguardo finisca per rappresentare per molti la dimostrazione che l’unico traguardo impossibile da raggiungere è quello che non ci si pone. E che se quindi ci poniamo tutti insieme – noi, famiglia umana – il traguardo di abolire la guerra, un giorno quel traguardo lo raggiungeremo, tutti insieme. Quando questo accadrà? Dipende solo da noi. Quanto prima ce lo porremo come traguardo, quanto prima cominceremo ad allenare le nostre coscienze e a muovere un passo dopo l’altro in quella direzione, tanto prima vedremo la linea di quel traguardo farsi sempre più vicina”.
Il progetto #26W26M vede cinque runner, Ippolito Alfieri (imprenditore veneziano prestato a Milano), Alessandro Bertani (vice presidente di Emergency – Roma), Matteo Caccia (attore e autore radiofonico, conduttore di Pascal su RadioDue – Milano), Pierpaolo Petruzzelli (avvocato – Bari) e Franz Rossi (scrittore e blogger – Milano) partecipare alla New York City Marathon sfidandosi tra loro non solo a piedi ma anche nella raccolta fondi.
Potete scoprire come va la sfida e potete sostenere Emergency e il vostro campione andando sul sito di Rete del Dono