Niccolò si sedette su una panchina nel parco dietro a Pagano.
Si sentiva un cretino.
E non perché stava fingendo di fare stretching da più di mezz’ora.
Era tornato dall’Australia ed era stato travolto da una ridda di emozioni contrastanti.
Milano lo aveva accolto bene. Quell’indifferenza che contraddistingue le grandi città era quello di cui aveva bisogno per rimettersi in equilibrio.
Troppo affetto, troppa attenzione, lo avrebbero fatto sentire a disagio.
Nella sua città poteva nascondersi dai vecchi amici e al tempo stesso ripercorrere all’indietro i passi della sua fuga.
Sua madre aveva riarredato per lui la vecchia cameretta. Aveva persino ritrovato i suoi vecchi libri, gli amori di gioventù (Philip Dick gli aveva fatto compagnia prima di diventare un autore di culto), la chitarra…
Con la scusa di cercare un lavoro, girava pigramente il quartiere e riconosceva le persone. Ma erano tutti cambiati, più vecchi. Il parroco non l’aveva riconosciuto, il suo migliore amico adesso aveva la pancia, una moglie e due bambini.
Lui si sentiva identico a come quando era andato via, possibile che gli altri fossero tutti così diversi? Gli sembrava di essere finito in un episodio di Ai confini della realtà: nel quartiere il tempo era passato più velocemente che per lui…
Un po’ alla volta aveva allargato il giro e aveva cercato le vecchie abitudini.
I locali dove faceva tardi con i compagni dell’università. Il negozio di dischi dove passava i sabato pomeriggio piovosi. L’Arena dove andava a correre con quelli della Pro Patria. L’alzaia e il Naviglio pavese che seguiva fino alla Certosa: la gita in bicicletta per il Lunedì di Pasquetta.
Tutto gli sembrava estraneo, lontano. Finché…
Erano passati più di due anni dal suo ritorno in Italia e in quel periodo stava cercando un libro che ricordava di aver letto prima di laurearsi.
Dopo aver girato parecchie librerie lo aveva trovato al Libraccio di via Santa Tecla, tra i libri in offerta.
Era in fila alla cassa, dietro un signore che aveva acquistato un confanetto con tutte le opere di Verdi (che strano come certi particolari ti si fissino nella mente).
Lei era entrata sovrappensiero, aveva girato un po’ e poi si era fermata a sfogliare un libro con la copertina rovinata.
Non lo aveva visto.
D’improvviso la lentezza del commesso non era stata più un problema.
I ricordi tornavano vividi, come quando sorge il sole e la nebbia sui campi inizia a sfaldarsi.
Aveva puntato Ilaria fin dal primo anno di corso.
Le aveva fatto la corte come se fosse stata una delle gare cui partecipava. Conoscerla di persona era stato il primo successo, ottenere la sua attenzione e poi la fiducia, le tappe successive.
La storia aveva seguito il suo corso naturale. Niccolò imprimeva brusche accelerazioni alla relazione e lei seguiva più prudente.
Era stato così orgoglioso di chiederle di sposarsi da non notare la sua titubanza. Per lui esisteva solo il suo grande progetto e Ilaria non poteva non essere d’accordo.
Il giorno del matrimonio era stato come tagliare il traguardo.
Il rinfresco con gli amici erano la celebrazione della sua vittoria.
Il viaggio di nozze era stato il periodo di recupero post gara.
Ricordava con angoscia il giorno in cui erano tornati a casa dopo 10 giorni in un villaggio in Messico.
Aveva lasciato cadere i borsoni in entrata.
Ilaria era così felice di iniziare la nuova vita. Lui si sentiva svuotato.
L’unico pensiero era stato: “E adesso cosa faccio?”
Niccolò si rimise a correre.
Da quel pomeriggio al Libraccio si era messo in testa di ritrovare Ilaria.
Fortuna che c’era FaceBook. Aveva cercato vecchi amici comuni e attraverso loro l’aveva trovata, nonostante lei usasse un nomignolo e non il suo vero nome.
D’altronde anche lui preferiva restare nell’ombra, non le aveva neppure chiesto l’amicizia.
Leggeva tutto quello che scriveva e spiava le foto in cui appariva.
Aveva scoperto che era single, che non aveva figli, che viveva ancora a Milano in zona Pagano.
Niente da fare. Si rimise a camminare.
Per lui gambe e coscienza funzionavano in sincronia: se era bloccato dentro anche i piedi non giravano.
Aveva provato a consultare le vecchie pagine bianche a caccia di numero di telefono ed indirizzo. Ma non aveva avuto fortuna, nessuno le usava più.
Aveva pensato di scriverle un messaggio su FaceBook, qualcosa di intelligente e fulminante. Ma poi aveva sorriso alla stupida romanticheria della sua idea.
Così aveva iniziato a fare jogging nei parchi intorno a dove lei aveva detto di stare, sperando di incontrarla.
Chissà perché poi aveva così tanto bisogno di parlarle.
Probabilmente era quella sua mania di finire le cose. Di portare a termine le gare. Di dare un senso di completezza.
E la storia con Ilaria, risolta in una fuga, era stata come ritirarsi al primo ristoro.
Quella volta era ancora troppo giovane, non aveva capito.
Adesso che vedeva le cose da una certa distanza gli era chiaro che avrebbe dovuto rimettersi di nuovo con lei.
Sorrise tra se e se.
Chissà come sarebbe stata felice Ilaria!
Riprese a correre con foga.
Doveva essere felice!
[NdA] Questo pezzo fa parte del progetto Frammenti urbani