La mattina avevo letto un bell’articolo di Nicola Pech in cui parlava di sicurezza in montagna.
La sera sono uscito per una “pellata” con gli amici nel comprensorio di Pila.
E due cose, apparentemente non collegate, hanno fatto click e mi hanno aperto gli occhi su un tema di cui oggi vi voglio parlare.
Analizzando l’etimologia della parola responsabilità, scopriamo che viene dal termine latino respònsus, participio passato dal verbo respòndere che traduciamo in italiano con rispondere. Quindi la responsabilità è la qualità per cui siamo chiamati a rispondere delle nostre azioni.
Sempre in etimologia, il prefisso de (anch’esso derivante dalla particella latina) indica allontanamento.
Ed ecco la parola chiave, quella che mi aveva fatto sobbalzare leggendo l’articolo di Pech: de-responsabilizzazione. Cioè allontanare da sè la necessità di rispondere delle proprie azioni.
Nicola Pech racconta come gli incidenti in montagna hanno sempre portato con loro un’aura negativa e una vocazione dell’autorità pubblica a reagire a questi vietando la pratica “pericolosa”.
Dall’Ottocento (periodo in cui nasce l’alpinismo) fino a metà del secolo scorso, la tendenza era stata quella di considerare l’andar per monti un’attività elitaria. Chi lo faceva era orgoglioso di assumersene il rischio (lo considerava parte essenziale del guadagnarsi la libertà); le autorità erano felici di considerare quel manipolo di aspiranti suicidi come un male necessario.
Però, a partire dagli anni ’60/’70 del 1900, la montagna ha iniziato ad essere meta turistica. Non solo alpinisti e sciatori che, proprio perché parte di quell’elite autoreferente di cui sopra, consideravano fondamentale essere preparati ad affrontare la sfida dei monti, ma anche famiglie in gita e, di conseguenza, persone sprovvedute, non pronte all’ambiente alpino.
Parallelamente a questo incremento del flusso turistico è avvenuto uno spostamento della responsabilità dal turista al “custode” dei territori, cioè l’autorità che governa il demanio: sindaci e prefetti.
Non aggiungo altro, lascio che le conclusioni le traiate leggendo direttamente il bell’articolo di Nicola Pech (qui il link). Ma cito la frase che mi ha colpito: “La deresponsabilizzazione dell’individuo e la ricerca del colpevole non sono certo prerogative della montagna e dei suoi frequentatori ma sono ormai endemiche in società complesse e rigidamente organizzate come quelle in cui viviamo.”
La deresponsabilizzazione dell’individuo e la ricerca del colpevole.
I mali della nostra società.
Pensate a quante volte assistiamo allo scarica-barile (sinonimo meno elegante e più colorito di deresponsabilizzazione) nella nostra vita quotidiana.
Parliamo della scuola, ad esempio, la colpa è dei professori che pretendono troppo o non hanno voglia di far niente.
Un altro capro espiatorio per eccellenza è il Governo, preso di mira per qualsiasi cosa succeda: la pandemia, i treni in ritardo, la difficoltà a trovare lavoro.
I politici, proni a questa tendenza, fanno sfoggio retorico nel colpevolizzare il governo precedente, l’avversario politico, l’Europa, gli immigrati, la destra becera, la sinistra radical chic e via dicendo.
Ma l’unica cosa evidente è che tutti cercano di allontanare da sè la responsabilità. Hanno (abbiamo) timore di esser chiamati a rispondere delle nostre azioni.
Invece la soluzione è proprio quella.
Farsi carico in prima persona delle cose che non vanno.
Trovare soluzioni invece di lamentare problemi.
Ed arriviamo alla gita di sci alpinismo.
Frequento un gruppo di appassionati. Ci siamo conosciuti ad un corso ed abbiamo continuato a praticare assieme questa bellissima attività a contatto con la Natura.
Negli scorsi mesi abbiamo dovuto fare slalom (mi si perdoni il gioco di parole) tra divieti e regolamenti. Ma non abbiamo mollato.
Siamo usciti (quando era permesso), seguendo le regole, limitando il numero di persone, limitando gli obbiettivi.
Abbiamo coinvolto i nostri amici guide alpine per garantire una maggior sicurezza.
Abbiamo continuato a sciare.
Sia chiaro, non c’è nulla di eroico in tutto questo.
Lo abbiamo fatto per soddisfare la nostra egoistica voglia di andare per monti.
Però ci siamo presi la responsabilità di metterci del nostro: pagare qualcosa in più, viaggiare un po’ più lontano, accettare alcuni compromessi sulle mete.
E il risultato è stato un rinnovato interesse che ha ulteriormente cementato il gruppo.
Non è sfuggendo alle responsabilità che miglioreremo la nostra vita.
Anzi… è proprio accettando di rispondere per le nostre idee ed azioni che renderemo la nostra esistenza degna di essere vissuta.
Ascolta “Parola d’ordine: de-responsabilizzare” su Spreaker.