La prospettiva del corridore

Senza scomodare i filosofi che vogliono che la semplice osservazione di un evento comporti un’interazione con l’evento stesso, è nell’esperienza comune che ogni realtà è percepita in modo diverso a seconda di chi la osserva o la vive.

Per noi che corriamo la vita appare completamente diversa.
Migliore? Peggiore? Provate a seguirmi per qualche capoverso…

L’idea mi è venuta qualche tempo fa, quando un’amica mi raccontava che, di ritorno da un cross è rimasta bloccata in autostrada per un incidente occorso qualche minuto prima. Il problema era che quella sera doveva andare alla Scala ad assistere ad un balletto e il ritardo stava mettendo in forse l’arrivo a teatro. Il giorno dopo le ho chiesto com’era andata e lapidariamente mi ha risposto: “Sono arrivata a casa alle 18.45, mi sono tolta il fango con una pezza bagnata e alle 19 era di nuovo in strada. Il balletto è stato bellissimo!”

Ora quale donna può andare nel tempio della lirica italiana senza aver dedicato almeno un paio d’ore alla preparazione? Beh, una podista! Un misto di senso pratico, abitudine al controllo del tempo, e una dose inesauribile di volontà di riuscire.

Un altro esempio che mi tocca da vicino.
Qualche anno fa sono dovuto restare fermo ai box per sei mesi a causa di un’ernia al disco. La cosa si è presentata come una lombo-sciatalgia con una spiccata discopatia al disco tra la L5 e la S1 (so che scrivo geroglifici, ma so anche che chi ci è passato sa di cosa parlo). I medici aspettavano di vedere se consigliarmi l’operazione o se l’ernia non peggiorasse e il dolore passasse. Nel frattempo mi avevano impedito di correre.

Dal mio punto di vista, dalla mia prospettiva, la preoccupazione non era il dolore (siamo tutti abituati ad una minima dose di dolore in maratona), non era l’autocommiserazione per il mio status di “malato“ (propria di alcuni malati e di tutti gli ipocondriaci), non era la paura dell’operazione o la volontà di evitarla.
Io ero focalizzato sulla ripresa dell’attività sportiva. E questo mi permetteva di andare avanti, mettendo tutte le cose che ho citato al loro posto, accettando la cura (e anche lo stop forzato è parte di questa), obbligandomi a reagire.

E’ il mio “essere“ podista che ha plasmato il carattere in questo modo.

[Per i più curiosi dirò che l’ernia si è disinfiammata, è rimasta una leggera protrusione e, senza essere operato, da quella volta ho corso anche il Tor des Géants, NdA]

Concludo con un tema lieve, che però esemplifica bene come attraverso gli occhi di un podista la realtà venga distorta.

Andate a pranzo con un corridore. Mangerà probabilmente molto di più di quello che, giudicandolo dall’aspetto fisico, vi potreste aspettare; mangerà meglio, con una maggiore attenzione alla qualità del cibo. E soprattutto si esprimerà in modo assolutamente particolare, misurando le porzioni di dolce in ore di lungo lento e il piatto di pasta in carico di carboidrati.

Tendenzialmente sarà un piacevole commensale, pronto a “spazzolare“ il proprio piatto e magari a fare a metà con voi di una seconda pizza…

Per giungere alla conclusione, correre ci cambia la vita, ma cambia anche il modo in cui noi percepiamo la nostra esistenza. E abitualmente lo cambia in meglio.

Sicuramente ci sono motivi chimico-fisiologici, penso ad esempio alle endorfine in circolo, ma credo che in primo luogo il miglioramento stia nella nostra testa, nell’ottimismo che diventa un atteggiamento abituale, nella prospettiva migliore da cui – noi che corriamo – affrontiamo gli ostacoli.

E questa, a mio avviso, rimane la più importante tra le ragioni per cui correre…

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