Miti e modelli

Sabato mattina, mentre completavo il mio allenamento di una decina di chilometri, pensavo ai concorrenti della HardRock 100.

Si tratta di una gara mitica che si svolge negli Stati Uniti.
I trail americani, di solito, ci fanno ridere.
Sono lunghi, alcuni hanno anche parecchio dislivello, ma nella gran parte sono privi di difficoltà tecniche.

Ci sono delle eccezioni e la HardRock è una di queste.
100 miglia, quindi 166 chilometri, e 10.000 metri di dislivello positivo.
Ma quello che la rende davvero difficile è il fatto che si attraversano situazioni climatiche completamente opposte.
Si parte nel caldo torrido e si arriva a colli dove c’è ancora la neve.
I primi concorrenti arrivano dopo 25 ore di gara, il record, di poco sotto le 24, è di Kilian Jornet Burgada (sì, sempre lui) che l’aveva vinta nelle scorse tre edizioni.

Pensavo all’HardRock100 perché era partita la sera del venerdì e mentre io giravo tra la Montagnetta di San Siro e il cimitero di Musocco, loro stavano affrontando la seconda metà del percorso.
Pensavo all’intervista a Kilian il giorno prima della partenza.
Aveva detto alcune cose che mi avevano fatto riflettere.
La prima, che lui si prepara a queste gare in circa una settimana (nel senso che è sempre in forma e dedica una settimana a fare lavori specifici rispetto all’evento).
La seconda, che il giorno prima (mercoledì) era andato a fare un’uscita su un monte che voleva scalare. 60km con non so più quanto dislivello due giorni prima della gara! Certo che hanno una considerazione diversa delle distanze.
La terza, quella che mi aveva colpito di più, è che nel 50% delle sue uscite deve rinunciare per motivi “esterni” (il meteo, le condizioni della montagna, la sua forma) e non prendersi troppi rischi.

Ecco, anche alla luce del mio post di lunedì scorso, credo che questa frase andrebbe scolpita.
Kilian, una volta su due, rinuncia alla sua meta per non rischiare troppo.

Kilian Jornet Bourgada
Kilian Jornet Bourgada e Joe Grant all’HardRock100

La sera cerco i risultati e scopro che il campione catalano, al rientro alle gare dopo aver scalato l’Everest, al 70esimo miglio, uscendo da un nevaio, è scivolato e cadendo si è lussato una spalla.
Ha corso così fino al primo ristoro dove si è fatto immobilizzare l’arto.
Mancavano ancora 30 miglia, quasi 50 chilometri, e lui ha continuato in un testa a testa con Joe Grant.
Le foto lo ritraggono sorridente mentre spinge con un solo bastoncino.

Mike Foote sarà l’ultimo a cedere e resterà indietro e Kilian, per la quarta volta consecutiva, sarà il primo a baciare il muflone disegnato sulla roccia, il simbolo della gara che segna il traguardo.
Tutto lo sforzo per raggiungere questo obbiettivo è chiaramente visibile sul volto di Kilian e traspare nella voce delle interviste sulla linea del traguardo.

Ma forse la cosa più bella è il suo tweet a commento della gara.
Una foto in bianco e nero e un “What a day!” (Che giornata!) prima di passare a ringraziare tutti gli HardRockers presenti (pubblico, organizzatori, volontari, concorrenti…)

Kilian Jornet Bourgada
What a day! Thanks all Hardrockers (runners, crew, pacers, volunteers, orga…) Photo by @BergGrand

C’è poco da fare.
Kilian Jornet Burgada è un mito assoluto.
Scia, corre, arrampica come un dio.
Ma si comporta come un uomo, con le sue paure, le sue fragilità, che rendono ancora più grandi le imprese.

E mentre faticavo a chiudere il mio anello di corsa, mi chiedevo: “E’ Kilian il mio modello di atleta?”

La risposta è no.
Io mi ispiro a Kilian, ma imito la tenacia di due ragazze di origini latine che da aprile ho spiato “allenarsi” al mattino presto sotto casa mia: corricchiano per 10 minuti, poi camminano facendo degli esercizi ginnici, poi riprendono a corricchiare.
Il mio modello è la passione di un runner che incrocio spesso in Montagnetta. Avrà 75 anni, e corre con buona lena, poi si ferma a bere il caffè dopo la doccia con i suoi compagni di allenamento.
Imparo l’organizzazione dai tanti amatori capaci di incastrare 50 minuti di ripetute tra lavoro e famiglia.

Quelli sono i miei modelli.
Quelle sono le persone che fanno cose che potrei/dovrei fare anch’io.

La differenza tra mito e modello è proprio in questo.
Il mito mi rende orgoglioso di essere un Uomo.
Il modello è il traguardo che voglio raggiungere.

Confondere uno con l’altro può rovinare la vita.

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