Continuare a correre

Siamo finalmente liberi di andare a correre, ma – almeno per me – le cose non vanno esattamente come avevo sperato. Tutto è più difficile

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Avevano ragione gli autori di Niente panico si continua a correre quando hanno stilato la regola numero 99 che recita:

#99: Se allenarsi è faticoso, prova a riprendere

Riprendere a correre dopo un periodo di stop forzato è davvero difficile. Tanto che, appunto, è meglio non smettere mai.

Ma nel nostro caso siamo stati obbligati a fermarci a causa del distanziamento sociale e, dopo due mesi di inattività, abbiamo riguadagnato i nostri parchi, le nostre strade, le alzaie di navigli o fiumi, i lungomari, i monti… insomma non più legati al guinzaglio dei 200 metri dalla propria abitazione, abbiamo finalmente ripreso a correre.

Il 4 maggio, fatidica data di riapertura, sono uscito per il primo allenamento. E da quel momento non mi sono più fermato, alternando diligentemente corsa e trekking (a dire il vero, anche un’ultima uscita stagionale di scialpinismo).

Oggi, a due settimane di distanza, provo a tirare le somme. E devo dire che è stato (anzi che è ancora) tutto molto più difficile del previsto.

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C’è, ovviamente, lo scarso allenamento e i chili di troppo accumulati.
C’è anche un po’ di pigrizia che si è formata come ruggine intorno alla forza di volontà.
Ma il primo vero ostacolo è il cervello.

La corsa, per me, è stata da sempre libertà del corpo dalle regole imposte dalla mia componente razionale.

Non basta volerlo per andare a 5’/km o per finire una gara o per arrivare prima di un altro concorrente.
E’ necessario un sapiente mix di testa che guida, senza perdere il contatto con il corpo che deve eseguire.

Mai come nelle attività fisiche (specialmente quelle ritmate) il cervello regredisce ad una forza quasi istintuale (sembrerebbe una contraddizione). So cosa devo fare, ma è il corpo che detta le condizioni.

Ebbene, in lunghi anni di pratica, ho imparato bene la lezione e – in qualche modo – mi aspettavo che il team lavorasse ancora all’unisono.

Invece no. Il cervello, fidandosi delle tante altre esperienze simili, si aspetta che il corpo proceda al ritmo richiesto. Ma il tapino fatica e quello, invece di dargli tregua, si blocca ed interpreta i segnali di affaticamento come un collasso in corso.

Il risultato finale è che, in tutte le ultime uscite, le mie performance sono peggiorate.

Parto senza pormi obbiettivi (questo è il cervello razionale), appena esco dalla fase di riscaldamento mi aspetto di ingranare (e questa è l’esperienza che parla). Invece inizio a faticare sempre di più.

Lo so che è solo questione di risvegliare le abitudini, di ritrovare un minimo di smalto.
Ci vorranno ancora un paio di settimane, o di mesi. Ma non ho fretta.

Nel frattempo mi godo le mie uscite (specialmente quando arrivo alla fine, ad esser sincero), mi godo il calo di peso, e tutti i numerosi benefici connessi con la corsa.

Va anche detto, però, che in questi anni il mio modo di correre è cambiato.
Non c’è più l’interesse per la prestazione, ma il piacere dell’esplorazione dei luoghi che attraverso. Corro con tutti i sensi bene all’erta. Ascolto i suoni, apprezzo i profumi e i panorami.

Ma questo, invece che aiutarmi peggiora le cose. Appena sono stanco individuo subito un nuovo sentiero da esplorare o un albero da osservare. Insomma è facile trovare una scusa per fermarmi e tirare il fiato.

Sembra che io si diventato saggio.
Che abbia compreso il vero senso della corsa.

Invece sono il neofita di sempre: ad ogni fine allenamento interrogo il cronometro e calcolo la velocità media, i chilometri fatti, il dislivello guadagnato o perso… e ci resto male.

Se c’è una lezione da imparare, quindi, è che nulla cambia con l’età, con il coronavirus, con la saggezza: come dicevo all’inizio, non preoccupatevi, si continua a correre.

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