Il mestiere di vivere

Mamma mia che freddo.
Fritz sembrava immune e zampettava tranquillo al suo fianco. Ma Ilaria si stringeva le braccia al petto cercando di trattenere quel po’ di calore che aveva dentro.
“Non posso ammalarmi – pensò – almeno non questa settimana”. Nel weekend sarebbe tornata a correre una maratona dopo quasi tre anni in cui non gareggiava. Ma i compagni di allenamento l’avevano coinvolta in questa trasferta pazza che culminava con la gara. Tre giorni in giro in auto per l’Italia…

Fritz si era fermato, annusava intorno cercando il posto che lo ispirasse di più.
Ilaria lo osservava nervosa e nonostante stesse spostando il peso da un piede all’altro, il freddo di quella notte le entrava dentro attraverso le suole delle scarpe.
Il cane iniziò a girare su se stesso e lei distolse lo sguardo, era convinta che Fritz si vergognasse, che se si sentiva osservato non riusciva a farla velocemente. E lei aveva fretta di ritornare nel calore della sua casa.

Central Park

Una macchina entrò a gran velocità nella stradina accanto al parco, i freni stridettero mentre si bloccava proprio davanti al suo portone.
La portierà si spalancò di colpo e dall’auto eruttarono all’unisono il ritmo sincopato di una musica e una ragazza che urlava tutta la sua rabbia verso il guidatore.
Si fermò, si girò un attimo tanto per gridare “Ma vattene a fare in culo, stronzo!” e, senza richiudere la portiera, la ragazza si avviò verso il portone. Solo allora Ilaria la riconobbe.

I capelli erano stati piegati in modo da sembrare ancora più corti ed avevano delle sfumature viola/azzurre; la bocca era marcata da un rossetto scuro, forse nero; la gonna era così corta che le gambe sembravano lunghissime, fasciate da un paio di leggins con disegni astratti. Trascinava la giacca quasi a terra, mentre cercava rabbiosamente nella borsetta le chiavi di casa.
Ad Ilaria sovvenne la bambina timida che si nascondeva dietro la vicina di casa nelle poche volte che si incrociavano sulle scale. Erano passati solo pochi anni, eppure guarda come si era trasformata.
Di riflesso iniziò a pensare a come fosse cambiata lei negli ultimi cinque anni.

Un brivido le salì lungo la schiena, non sapeva se fosse il freddo o l’improvvisa consapevolezza del Tempo.
Ricordava un vecchio proverbio che sua nonna citava sorridendo “Ad essere giovani si impara da vecchi”. Quel retrogusto amaro delle cose scivolate via. E sopra ogni altro pensiero, il figlio che aveva sempre pensato dovesse arrivare e che mai sarebbe arrivato.

Quasi avesse percepito il turbamento della sua amica, Fritz le trotterellò accanto e alzò il muso nero per osservarla.
“Che dici? Possiamo andare a casa ora?” si avviò verso il portone stringendosi nel cappotto. Le gambe intorpidite dal freddo e il passo reso incerto dalla patina di ghiaccio che faceva scrcchiolare la ghiaia del sentiero.

Si constrinse a pensare ai dettagli del viaggio che l’aspettava, a cosa doveva mettere in valigia, alle pratiche da concludere l’indomani in ufficio per non lasciare nulla in sospeso.
Era stata a lungo indecisa se invitare o meno Paolo. Non era un corridore, anzi lo aveva anche visto fumare, però era intrigata da quella strana storia che non si decideva a decollare. Forse avrebbe dovuto, ma ormai era troppo tardi. Un’altra occasione persa.

Decise di mettere in valigia anche quel vecchio libro che l’insegnante di lettere del liceo le aveva fatto amare, Il mestiere di vivere di Cesare Pavese.
Possedeva ancora la copia sulla quale aveva studiato trent’anni prima. Le pagine sgualcite dai tanti viaggi casa-scuola-casa. Le note a matita scritte sui margini bianchi, inframezzate da disegnini figli della noia e da nomi di vecchi amori.
E quella frase che l’aveva colpita così tanto, ricopiata sul frontespizio quasi fosse una dedica:
Tutto ciò che non bastiamo da soli a compiere, diminuisce la nostra libertà

Sarebbe diventato il motto della sua vita…

[NdA] Questo pezzo fa parte del progetto Frammenti urbani

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