E’ un periodo strano della mia vita. Torbido e frenetico.
Sono così preso dalle cose dell’anima che il corpo, finalmente libero dalla mente, si sta fortificando indipendentemente.
Cerco nella fatica la liberazione dello spirito, inseguo fantasmi e demoni lungo le salite dei monti, rifuggo la compagnia come mai avevo fatto prima, ignoro il piacere del cibo perché non mi da più la stessa gioia.
Soffro più per l’inattività che per la fatica, anelo ai grandi spazi e mi trovo imprigionato in frammenti di tempo, vorrei fuggire e mutarmi in animale, tutto istinto e forza fisica.
La testa e il cuore in perenne duello sfiancano la mia volontà, ma il corpo è libero e se ne va per conto suo.
Gli amici mi trovano più magro, ma il peso non è cambiato. Sono solo stato prosciugato, l’energia si è spostata dallo stomaco ai muscoli. Dal volto ai piedi.
Così ho scoperto che posso affrontare serenamente ritmi che prima non mi sognavo, distanze che erano proibite, uscite in giornate successive che prima mi erano negate dal dolore alle gambe.
E non mi interessa più.
La paura di non farcela è rimasta in fondo al mio cuore.
Prima temevo di non arrivare, adesso temo di non partire.
Parlo un linguaggio che capisco io solo, il linguaggio dei miei passi.
Sono come le api danzatrici che si intendono grazie ai complicati intrecci dei loro balli.
Cos’è il Linguaggio? Un modo per farsi capire tra simili.
Ecco io oggi posso parlare solo quello. Non so se mi capiranno. Non so se ci sono miei simili.
E forse alla fine non dovrebbe importarmi.
Come vorrei che quell’insulso muscolo che pompa il sangue nel corpo si chetasse per un’ora.
Come vorrei che il cervello si stancasse di pormi tutte quelle domande.
Solo nella salita trovo tregua, con il cervello che si spegne per aiutare il cuore a nutrire di ossigeno i muscoli.
Allora capisci che la gara non mi interessa.
Io cerco spazi da percorre non tracce da seguire.
Ogni passo è un istante di libertà.
La somma dei passi, un’attimo di vita.
Vita mia.